Un po’ strega, un po’ eroina, la magia di Kate Bush e del suo timbro divino

Kate Bush
Una delle più importanti performer femminili degli anni ‘80, ha cambiato le regole auree del bel canto, portando le sue potenzialità vocali a limiti inimmaginabili fino a quel momento.

Pochi giorni fa ho trascorso qualche giorno a Londra, il mio primo ritorno dopo la Brexit e la pandemia. Sognavo di ritagliare un pomeriggio per la ricerca di vinili nei tanti negozi underground che ricordavo e amavo. La capitale inglese, in questa nuova versione di città votata a un turismo prettamente non continentale, ricco ed estremamente poco accessibile, ha purtroppo perso quasi del tutto il suo fascino più popolare e punk. La mia lista di shop musicali si è ridotta a pochi nomi da contare sulle dita di una mano, ma il Music & Video Exchange di Notting Hill è rimasto fortunatamente e ostinatamente al suo posto. Tra i cassoni che profumano di passione e di muffa spunta la divina Kate Bush con il suo capolavoro del 1978 Lionheart, che ho acquistato subito e che ora troneggia sul mobile dei miei dischi.

Kate Bush è una vera regina: bambina prodigio, polistrumentista (suona pianoforte, sintetizzatore Fairlight, violino, basso, chitarra, drum-machine), autrice, interprete, ballerina, coreografa  e regista. Figlia di un medico del Kent, ha una famiglia numerosa e cresce in una fattoria rurale, un ambiente decisamente aperto e affettuoso. Ama suonare il pianoforte e inventare storie nascondendosi negli angoli più segreti della tenuta. La madre irlandese le trasmette l’amore per i canti celtici e una grande passione per il romanticismo struggente. I fratelli John e Paddy la iniziano al prog rock, le insegnano a suonare altri strumenti e registrano i primi demo casalinghi.

Questi nastri arrivano all’orecchio di David Gilmour (chitarrista dei Pink Floyd) che ne resta rapito e la convoca  per una sessione di registrazioni a Londra. È pronta a stupire il mondo con la sua Wuthering Heights, una canzone manifesto di indipendenza artistica, che difende come singolo principale del suo debut album The Kick Inside del 1978, di fronte alla casa discografica che teme la poca accessibilità del tema letterario.

Kate è irremovibile e ha ragione: il successo è immediato e fulminante. Evoca perfettamente lo spirito di Emily Brontë e sfodera un canto innaturalmente acuto per un soprano, ma assolutamente melodioso. Si tratta di un nuovo stile, che oscilla da un registro all’altro e si colora di tantissime inflessioni di accenti celtici. Nella sua autobiografia racconterà che quel particolare fraseggio distinto dall’intonazione era un progetto nato dal suo modo di suonare il pianoforte, unito alla tecnica di danza, ispirata dai lavori di Lindsay Kemp.

È un talento brillante, che emerge in diversi campi artistici; con le sue quattro ottave di estensione impersona un personaggio mistico e affascinante, un po’ strega medioevale, un po’ eroina gotica, capace di imporre un suo canone estetico di bellezza, distinguendosi nettamente dal panorama delle altre cantanti pop con look di ispirazione orientale. A pochi mesi dal primo album è già pronto il secondo Lionheart, che conferma il suo successo planetario.

Nell’aprile 1979 Kate Bush debutta al Palladium di Londra e presenta i suoi brani con coreografie particolari ed effetti scenici di grande impatto. Durante quel tour avviene l’incontro fondamentale con Peter Gabriel, la loro intesa è talmente intensa da spingere la cantante a  collaborare ai cori di No Self Control e a cantare in Games without Frontiers, inseriti nell’album So in uscita dell’ex Genesis. Si ritroveranno nel 1986 per l’abbraccio più lungo e famoso della storia della musica, durante il video girato per Don’t Give Up, più che una canzone, un mantra, una preghiera da recitare insieme per uscire dal buio.

Torniamo al 1980 e la ritroviamo nell’impersonificazione di Babooshka, la protagonista del secondo singolo dell’album Never for Ever. È una donna amareggiata che mette alla prova la fedeltà del marito facendosi passare per una pretendente di origine russe e finendo in una spirale di paranoie e inquietudini. Anche questo disco sbanca le classifiche in tutto il mondo. La sua creativa produttività termina nel 1994 dopo sette lavori eccezionali e culmina in Running Up That Hill, canzone contenuta in Hounds of Love del 1985. Questo brano risulterà talmente potente da tornare con prepotenza alla ribalta nel 2022 con un miliardo di streaming su Spotify, a quasi quattro decenni di distanza, accompagnando la narrazione onirica delle serie Tv Netflix Stranger Things.

Negli anni ’90 Kate Bush si ritira senza troppe spiegazioni e la stampa inglese (mai particolarmente clemente con lei) la schernisce definendola «una reclusa mitica», immaginandola altezzosa in una villa dorata, sperduta nella nebbia. In realtà vive in modo molto semplice: si sposa con il chitarrista Dan McIntosh e con lui ha il figlio Bertie, che nasce nel 1998.

Decide di tornare alla ribalta nel 2005 con Aerial, un album intimo e raffinato, decisamente coraggioso, che non ha il precedente riscontro commerciale. Si tratta di un risveglio artistico, che la spinge a fondare una propria etichetta discografica, a collaborare alla scrittura di colonne sonore come La Bussola d’Oro, a curare raccolte di brani inediti e demo rimaste nel cassetto.

Il suo grande exploit da divina è datato 2014, quando decide di riprendere a esibirsi dal vivo all’Apollo di Londra. Le richieste per questi biglietti superano ogni record e gli eventi sono spettacoli eccezionali, che riportano in classifica in Gran Bretagna ben otto dei suoi dischi contemporaneamente.

Kate Bush ha ispirato e guidato generazioni di cantautrici a lei devote, da Tori Amos a Bjork a PJ Harvey, spingendo al massimo l’eclettismo e la fusione delle arti, con lavori di grande gusto e suggestione. La sua musa invece era Billie Holiday; questo amore è sfociato in una cover di The Man I Love, classico delle scalette di Lady Day, scritto da George e Ira Gershwin. Era anche solita portare tra i capelli una gardenia, proprio come Billie. Ascoltare questo brano registrato con la maestria di George Martin (il quinto Beatle!) nel 1994 è il modo migliore per rendere omaggio all’incommensurabile talento di Kate Bush, nella speranza che decida presto di tornare a esibirsi, per la gioia di chi avrà la fortuna di ascoltarla.

Music

The Man I Love

Wuthering Heights

Running up that hill

Elena Castagnoli

Foto in alto: Kate Bush

© RIPRODUZIONE RISERVATA

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