8 marzo, una data importante per ricordare il bisogno della lotta

8 marzo
In questo giorno dell’anno il mondo si ferma a sottolineare che la parità di genere non è stata ancora raggiunta, o almeno dovrebbe.

La Giornata Internazionale dei diritti della donna, comunemente chiamata Festa della donna, ricorre l’8 marzo. La prima celebrazione si è tenuta negli Stati Uniti nel 1909, in Italia si commemora dal 1922. Quest’anno quindi saranno cento anni, un secolo tondo tondo, durante il quale non si sono mai attutite le polemiche che circondano una giornata che dovrebbe essere di riflessione e non di acredine. A tutti coloro che fanno polemica sfugge quasi sempre il senso della ricorrenza: la lotta per il raggiungimento della parità di genere. In un mondo che ha milioni di anni, con civiltà che hanno costruito le piramidi, la Grande muraglia cinese o Machu Picchu, con la scienza che è arrivata su Marte o a riprodurre organi umani artificialmente, siamo ancora incollati al pensiero: eh, che senso ha festeggiare l’8 marzo? La festa della donna è tutti i giorni.

No, signori miei (e il maschile è voluto), non è affatto così. Non è così quando si dà per scontato che una donna debba (o voglia) diventare madre. Non è così quando quella madre è costretta a rinunciare alla propria carriera. Non è così quando una ragazza non può vestirsi come vuole, quando ha paura di tornare a casa da sola. Nemmeno quando, a un colloquio di lavoro, le viene chiesto se ha intenzione di avere figli e fra quanto. Sicuramente non è così quando viene picchiata dal marito e, se va a denunciare, si sente rispondere che «passerà» o, peggio, «cerchi di non provocarlo». Non c’è parità quando non viene ritenuta in grado di ricoprire certe cariche professionali o studiare determinate materie. Non c’è parità quando, nel panorama politico internazionale, le donne coprono una percentuale ridicolmente bassa, figuriamoci quando si parla di “quote rosa”. Non c’è parità quando una donna viene trattata come un oggetto sessuale con palpeggiamenti e battutine. Non c’è parità quando non può studiare, parlare, pensare, agire, sentirsi libera e indipendente come un uomo.

Che sia chiaro una volta per tutte: la festa della donna non è la festa dei bagordi, delle cene fuori tra amiche, l’ora d’aria dai figli o dal marito o l’occasione per darsi alla pazza gioia con uomini più o meno vestiti. Certo, tutto questo c’è, ma a pensarci bene ognuna di queste cose ha in sé la lotta per la parità di genere, spogliarelli compresi. Perché un uomo può andare a cena fuori quando vuole senza curarsi dei bambini? Perché può uscire con gli amici, continuare il calcetto o la palestra, andare per locali, assistere a spettacoli di strip-tease senza problemi mentre una donna non può, anzi non deve, farlo? Ecco che in questi giudizi ritorna prepotente la mentalità patriarcale che, non ci prendiamo in giro, è ancora radicatissima sia nelle menti maschili che, ahimè, purtroppo anche in alcune femminili. Spesso ho sentito donne dire che non festeggiano l’8 marzo perché è una festa mercenaria, perché le donne non dovrebbero andare per locali a bere o fare di peggio.

Ma non è questa negazione delle possibilità, anzi delle libertà, a essere la prima nemica della parità di genere? Che male c’è se una donna va in un locale e si diverte per una sera? Che male c’è a spendere di più per una cena? Che male c’è ad accantonare per un attimo i doveri a cui è arcaicamente legata? Si tratta solo di prendersi uno spicchio di parità, un momento di equilibrio tra generi, in cui non doversi più sentire sbagliata. Assistere a uno spogliarello va bene, ballare in discoteca va bene, anche ubriacarsi va bene, come fare sesso con un uomo solo per una sera. E sapete perché va bene? Perché se è giusto per un uomo è giusto anche per una donna. Quindi ben vengano cene costose (non lo sono anche quelle di Natale o Capodanno, per esempio?), uscite, serate in disco. Ben venga la piccola fuga dal conformismo imposto, che non è, badiamo bene, menefreghismo verso la famiglia. È mettere in chiaro che i genitori sono due con pari diritti, doveri, libertà. È stabilire che quello che può fare l’uomo può farlo anche la donna, di qualsiasi campo si parli. È affermare con forza che il ruolo che alla donna hanno cucito addosso fin dalla notte dei tempi comincia a starle stretto.

L’8 marzo, quindi, è un momento di riflessione e di affermazione. Un giorno che dovrebbe scuotere le coscienze di tutti e far aprire gli occhi sulle disparità che ancora oggi persistono. Ma, a mio avviso, è anche un giorno di festeggiamenti. Personalmente ogni 8 marzo, che io sia da sola, fuori con le amiche o a casa con mio figlio, festeggio il mio genere e la forza che esso racchiude. Guardo indietro, ai secoli di prevaricazione, e nel futuro, verso le lotte che ancora sono da affrontare. Ma soprattutto guardo il presente. Celebro me stessa e la mia eredità di donna nel mondo, il retaggio che mi è stato lasciato da chi ha lottato tanto e di più. Mi festeggio ogni volta che compio un passo che non dovrei compiere, che tengo testa a idee primitive, che affermo il mio valore tanto di donna quanto d’individuo. E insieme a me festeggio le donne che mi sono accanto in questo cammino, tutte le donne del mondo, perché insieme siamo una potenza e prima o poi riusciremo a compattare questa unità e far sì che la vera parità di genere venga raggiunta. Fino a quel momento, però, continueremo a difendere e omaggiare la Giornata internazionale dei diritti della donna, perché in coro la voce è più forte e il canto, sulle ali del vento del cambiamento, può arrivare ovunque.

Serena Pisaneschi

Foto in alto: foto di mana5280 su Unsplash

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