Chloé Zhao, nessuno è profeta in patria

Chloé Zhao
La regista cinese con Nomadland vince l’Oscar per la miglior regia ma nessuno nel suo paese ne ha celebrato il successo. 

La regista Chloé Zhao, per i cinesi semplicemente Zhao Ting, si era posta all’attenzione dei suoi connazionali per dei legami filiali – non meglio specificati – come pupilla di una certa Song Dandan, attrice di sitcom. Poi però quando la nostra eroina ha cominciato a vincere i primi premi internazionali, i cinesi hanno alzato le antenne prestandole appena un po’ più di credito. È infatti nel 2015 che esordisce come regista di lungometraggi con Song my brothers taught me che scrive, monta e co-produce, come d’abitudine acquisita durante la carriera di cortometraggista. Questo lungometraggio viene presentato al Sundance Film Festival e alla Quinzaine des Réalisateurs del 68º Festival di Cannes, ottenendo anche una candidatura come miglior film d’esordio agli Independent Spirit Awards 2016.  

È del 2017 The Rider – Il sogno di un cowboy. Come sempre scrive, dirige e co-produce e, come nel precedente lungometraggio, utilizza un cast composto per la maggior parte da attori non professionisti. Questo particolare ricorda molto da vicino il famoso regista cinese Zhang Yimou che nel 1992 dà proprio una svolta alla sua carriera cominciando a utilizzare attori non professionisti allo scopo di ottenere un effetto neorealista per i ritratti della società che si apprestava a dipingere. Ma tornando a Chloé Zhao, ormai naturalizzata americana, il film viene presentato alla Quinzaine del 70° Festival di Cannes ottenendo quattro candidature agli Independent Spirit Awards. A questo punto la poco più che trentenne Chloé Zhao comincia a essere reclamata in patria, non in senso letterale, ma in senso culturale. 

Il culmine di questo richiamo arriva nel 2020 quando, con il lungometraggio Nomadland, che al solito scrive, dirige e co-produce, arriva a vincere il Leone d’Oro alla Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia e il Golden Globe per il miglior film drammatico e per il miglior regista. A questi riconoscimenti, la sera del 25 aprile 2021, si aggiunge l’Oscar: Nomadland  ottiene tre statuette tra cui quella di miglior regia e miglior film. Nessuno in Cina ha però celebrato il successo di Chloé Zhao, la seconda regista donna e la prima asiatica ad aver vinto il prestigioso premio internazionale.   

E dire che prima della censura della cerimonia degli Oscar i connazionali avevano appena iniziato a interessarsi a lei non più come pupilla di Song Dandan ma, sottolineato proprio dalle parole della celebre attrice, come «Una ragazza cinese, che si fa strada da sola nel potente territorio di qualcun altro e ottiene enormi risultati». Orgogliosi anche del fatto che, come tutti i grandi registi cinesi, Zhao Ting, vedendo le porte di Hollywood spalancate davanti a sé, rimane umile e concentrata pensando che i suoi successi non fanno altro che fornire i fondi per i lavori successivi. 

I giornali cinesi non fanno che ripercorrere la storia, tutta estera, di questa giovanissima artista reclamandone la maternità. Non entriamo nel merito di questo tardivo interesse per l’autrice da parte della madrepatria, diciamo solo che riconoscere e far riconoscere l’indipendenza del viaggio femminile è sempre cosa ardua. Ma questa donna lavora sodo, questo va riconosciuto, e se è arrivata a collezionare nomination e premi, qualcosa di speciale lo deve avere certamente, cinese o non cinese. 

Laura Massera 

Foto in alto Chloé Zhao 

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1 commento su “Chloé Zhao, nessuno è profeta in patria”

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