Chi si nasconde dietro le canzoni dedicate all’universo femminile? Che siano muse ispiratrici reali o immaginarie, i testi raccontano le loro storie e diventano nostre.
Nei loro dieci anni di attività i Beatles hanno scritto le regole del pop mondiale e molte delle loro canzoni rimandano a nomi di donna. Scopriamo chi si cela dietro le strofe e i ritornelli dei brani scelti dalla discografia dei Fab Four.
Julia
Una carezza di John Lennon inserita nell’album The Beatles del 1968, conosciuto anche come White Album. La registrò da solo, dopo averla scritta in India per la giovane madre. Fu ispirato da alcuni versi di Gibran e dalla tecnica chitarristica fingerpicking che stava perfezionando. Testimonia il grande amore per la donna, nonostante lo avesse abbandonato, perché non si sentiva in grado di accudirlo. John era stato cresciuto dalla zia Mimì, la sorella di Julia, ma intorno ai diciassette anni aveva ripreso a frequentare anche lei, poco prima che venisse investita da un’auto. Era un’anima fragile, amante dell’arte e di Elvis, passioni che anche John eserciterà senza tregua nel corso della sua esistenza. Entrambi saranno accumunati dal tragico destino di una morte precoce e ingiusta. La loro storia è raccontata magistralmente nel bel film Nowhere Boy del 2009, diretto da Sam Taylor-Johnson.
Martha My Dear
Ancora White Album, questa volta lato Paul McCartney, che registra questo brano senza l’aiuto dei compagni. Si rivolge all’amato Bobtail, il suo primo cane, di nome Martha che rimarrà con lui e Linda fino al 1976. L’ispirazione viene dallo studio del pianoforte, che stava esercitando con le due mani. La melodia resta una delle più dolci e orecchiabili tra tutte le sue composizioni.
Michelle
Celeberrima ballata inserita in Rubber Soul, anno 1965, in realtà dietro questa canzone d’amore non si nasconde nessuna Michelle in carne ed ossa. Fin da ragazzo Paul era affascinato da Parigi, dallo stile di Juliette Gréco e gli venne l’idea di cantare parte del brano in francese. Chiese aiuto alla moglie dell’amico Ian Vaughan, che istintivamente propose «Michelle ma belle». McCartney racconta che qualche anno dopo le mandò un assegno, perché virtualmente era una sorta di co-autrice. L’insistenza di «I love you, i love you, i love you» è un omaggio alla magistrale versione di I put a spell on you di Nina Simone, che Lennon adorava e che aggiunse alla canzone di Paul una nota malinconica deliziosa. Erano ancora negli anni felici della loro brillante collaborazione musicale.
Eleanor Rigby
Brano estratto dal capolavoro Revolver del 1966, l’ispirazione arriva a Paul dai ricordi di alcuni racconti ascoltati da anziane signore quando era bambino. Inizialmente il nome scelto per narrare la storia di questo funerale era Daisy Hawkins, ma non sembrava abbastanza evocativo. Eleanor viene preferito dopo averlo letto sulla tomba di un cimitero, a cui si aggiunge Rigby, l’insegna di un vecchio negozio di Bristol. Coincidenza vuole poi che ci sia davvero una Eleanor Rigby sepolta nel cimitero di St Peter a Woolton, luogo che Paul e John frequentavano da ragazzini. È una delle canzoni con l’arrangiamento più sontuoso del quartetto di Liverpool, i violini ricordano Vivaldi e per la registrazione sull’album fu ingaggiato un doppio quartetto d’archi.
Sexy Sadie
L’ultima canzone proposta è ancora una volta estratta da The Beatles, 1968. Dietro Sadie non si cela nessuna donna, ma il guru indiano Maharishi Mahesh Yogi, la guida spirituale che aveva dominato il viaggio in India della band. Dopo il periodo iniziale i quattro persero fiducia nella purezza di spirito di questo sedicente santone e John scrisse questa canzone per denunciare la truffa che avevano subito. Si diceva che Maharishi avesse molestato una turista americana e che vivesse in modo dissoluto. La melodia agrodolce e il suo lungo intro creano un momento speciale e la rendono un grande classico del repertorio beatlesiano.
Elena Castagnoli
Foto in alto da liverpoolworld.uk
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