Aprire mondi. Storia di un’artista che diventa una mamma

Beatrice Pasquali
Beatrice Pasquali: «Una camera che si fa luogo-paesaggio, metà stanza metà catalogo, dove più di un mondo e più di un modo diventano possibili.»

Dal quarto numero de L’Altro Femminile, donne oltre il consueto, scarica il PDF della rivista o sfogliala online.

Ho sempre creduto che le immagini avessero il potere della cura, dalla malinconia, dalle tante noie e da se stessi, a volte. L’uomo primordiale, forse per questo, traduceva il suo pensiero magico in drago, coccodrillo o antilope dentro la sua casa. Anche le favole sono inseribili in una farmacia benefica, con gli animali parlanti e il frac. Mi è sempre piaciuto veder soccombere la volpe di La Fontaine di fronte all’uva, trionfante e altera.
Quando sono diventata madre ho voluto costruire un luogo-paesaggio, metà stanza metà catalogo, dove più di un mondo e più di un modo fossero possibili (e anche senza la legittimazione dell’hortus conclusus!).
Per via di incongruenze, ibridazioni, cambi di rotta, nel corso di dieci anni si sono stratificati piccoli, deliziosi rimaneggiamenti che rendono una camera da notte e da giorno un’enciclopedia concreta di oggetti d’affezione, unici e personalissimi a uso, consumo e cura della sua proprietaria. 

La soglia 

La porta in sé è già un viatico e separa l’atrio tutto rosso dalla stanza dalle dimensioni di cm 416 x 416 x 320. In Marocco posizionano sopra l’entrata delle case una lucertolona impagliata perché porta fortuna. In Toscana uno dei riti più diffusi nelle campagne è quello di cospargere l’uscio con l’acqua di San Giovanni, specie di intruglio fatto di fiori lasciati decantare alla Luna la notte compresa tra il 23 e il 24 giugno. Alcuni contadini sono persuasi che anche il fiato delle anatre sia di un buon auspicio.
Ho pensato che fosse bello, annunciarsi con un suono già dalla porta. Un suono-annuncio.
Preludevano all’arrivo dell’ospite anche i campanellini di Santa Lucia, le buste con l’acqua di Colonia. Poteva anche essere una fotografia a bussare.

Battiporta in forma di mano di bronzo, trovato a Genova

Il suo profumo

Una determinata luce che arriva da ovest ha reso, da subito, riconoscibile questo ambiente che ha una luminosità dorata che somiglia al colore della dolomite che si trova in certi posti del Cadore. Di certo anche l’odore è qualcosa che non si dimentica, soprattutto se si annusano le superfici di tessuto sparse in questo luogo.
Alcuni fiori, più di altri, riecheggiano i rituali dei boschi che prevedono che la bacchetta magica debba essere ricavata da rami di sambuco.

Aryballos ricamato di stoffa portaprofumo, verso

Aprire la scatola

Quando Simone Weil si presenta a Bologna da Volterra ha solo un impermeabile, nelle cui tasche c’è tutto il suo guardaroba. Anche una stanza, se le provviste son preparate con dovizia, può essere come una tasca a cui non serva nient’altro.
È un sacrilegio, senza grazia, svuotare le tasche di un bambino, senza chiederglielo.

«(…) tutti quegli oggetti li contemplava con eguale ammirazione, curiosità e gratitudine, poiché assorbendo i suoi sogni lo avevano liberato da essi, in compenso se ne erano arricchiti e gliene mostravano la realizzazione palpabile.»(Marcel Proust, Un amore di Swann, Alla ricerca del tempo perduto, 1988, Fratelli Melita Editori, La Spezia)

Porta semi aperta

È un luogo di certo sentimentale come dovrebbero essere quelli in cui far crescere un bambino.
Le associazioni di André Breton mi sono sempre sembrate nutrienti proprio per i cambi di scala e di contesto. Forse per questo non ho ambientato l’enorme cavallo parietale. Gli ho lasciato appoggiare le zampe sul pavimento di cementine del 1939. La retorica delle prospettive avrebbe impedito la sua interscambiabilità, la sua relazione sempre diversa con gli altri oggetti.
Sono partita da una suggestione mantovana: dai ritratti di cavalli, perché lo sono propriamente con tanto di nome, dipinti da Giulio Romano a Palazzo Te. Mi piaceva che interagisse col tavolo, coi fiori di cotone e col pianoforte. 
La coda è proprio a ridosso dell’angolo del muro e finisce fin giù, sfiorando il pavimento. 
Per tutta la stanza è disseminata una fauna disegnata, dipinta, oggettuale con e senza cornice.
Ci piace far interagire le immagini bidimensionali con piume, piccoli semi, ali di coleotteri, corna di animali.
I giochi li costruisco io o modifico alcuni particolari dell’oggetto acquistato.
Ho sempre amato gli albi illustrati, i dizionari con tante figure, gli abbecedari con le taschine di carta nelle quali infilare la riproduzione dell’oggetto corrispondente.
E così ne ho costruito uno, morbido, tattile con i vani di stoffa.
La stanza anche oggi è in divenire e anche domani arriverà un oggetto, battericamente carico, che modificherà tutto il resto. Sono sempre modi per appropriarsi dei luoghi, per renderli a misura della nostra anima.

Beatrice Pasquali elabora le categorie tattili delle superfici, siano dipinte, plastiche o solo immaginate, attingendo in modo originale e ludico al novero scientifico, letterario e popolare.

Tutte le foto sono di Beatrice Pasquali

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