Sabina Bonamini: la PMA non è solo una questione fisica

PMA procreazione medicalmente assistita
Affrontare la Procreazione Medicalmente Assistita mette a dura prova una coppia; il sostegno psicologico in molti casi è essenziale per arrivare a un successo condiviso.

Dal quarto numero de L’Altro Femminile, donne oltre il consueto, scarica il PDF della rivista o sfogliala online.

La dottoressa Sabina Bonamini è Psicologa e Psicoterapeuta con una lunga esperienza maturata in diversi ambiti, è iscritta all’Ordine Psicologi del Veneto e Socia Ordinaria dell’Associazione Psicoanalisi e Ricerca di Verona. Per dieci anni è stata consulente al Centro di Fertilità di Coppia dell’Ospedale Sacro Cuore di Negrar, Verona, uno dei maggiori riferimenti della regione Veneto per questo tipo di assistenza. Attualmente esercita come libera professionista nel suo studio privato a Verona.

Per prima cosa le chiederei di spiegare come funziona la PMA, anche per chi non si è mai avvicinato a questa realtà.

«La definizione “Procreazione Medicalmente Assistita” racchiude tutte le varie tecniche di trattamento medico: inseminazione (nelle sue varianti) e fecondazione in vitro (anche questa nelle varianti contemplate dalla medicina). Per le mie conoscenze riassumerei così la diversità tra le due tecniche: la prima prevede un trattamento ormonale per la donna (stimolazione) e successivamente l’inserimento in utero oppure nel collo dell’utero o nelle tube del liquido seminale “trattato” dai biologi per aumentare la motilità degli spermatozoi. Nella fecondazione in vitro è sempre necessaria una stimolazione ormonale ma l’unione dei gameti maschili e femminili (ovuli e spermatozoi) avviene invece all’esterno del corpo, in vitro appunto. In questi trattamenti è necessario prelevare dalle ovaie gli ovuli pronti per la fecondazione (pick-up). Successivamente le tecniche prevedono due modalità di fecondazione: l’incontro “casuale” tra ovuli e spermatozoi, possibile solo quando c’è una sufficiente quantità di questi ultimi, oppure l’inserimento dello spermatozoo all’interno dell’ovulo per mano del biologo. Questa operazione è necessaria quando c’è una grave carenza di spermatozoi. Dopo la fecondazione si attende dai tre ai cinque giorni per reinserire l’embrione in utero.»

Dottoressa Sabina Bonamini

Quali sono i parametri legali entro i quali è necessario muoversi in Italia?

«La Legge 40 del 2004 è quella che regola in Italia il ricorso alla PMA per le coppie con problemi di infertilità o sterilità. La sterilità viene definita come l’impossibilità di procreare; l’infertilità, invece, è una riduzione della capacità procreativa di una coppia. Secondo la legge italiana possono accedere al PMA le coppie maggiorenni, di sesso diverso, coniugate o conviventi, in età fertile ed entrambi viventi. Nella legge del 2004 era consentita solo la fecondazione omologa, quindi con i gameti della coppia infertile; era invece vietata la fecondazione eterologa, effettuata cioè con gameti di donatori esterni alla coppia. Tale divieto è stato ritenuto incostituzionale a seguito di una sentenza del 2014. Ad oggi in Italia rimane il divieto di fecondazione eterologa per coppie omosessuali e donne single, oltre a quello per la maternità surrogata nella quale una donna diversa dalla madre biologica porta a termine la gravidanza. La legge prevede che le coppie possano accedere alla PMA dopo circa un anno di rapporti non protetti e mirati. In realtà molte coppie arrivano a chiedere un aiuto specialistico dopo due, tre, ma anche cinque anni di tentativi.»

Qual è il ruolo dello psicologo in questo procedimento? 

«Il sostegno psicologico nei centri di fertilità non è obbligatorio, è un servizio a disposizione delle coppie o del singolo. Generalmente viene attivato su richiesta dell’utente o quando l’équipe medica ne riconosce la necessità. Per le coppie non è semplice riconoscersi nel mondo dell’infertilità, ed è ancora più complesso accettare di accedere allo spazio del sostegno psicologico. La combinata crea un vissuto di patologia e bisogno con il quale è estremamente difficile fare i conti. La maternità è qualcosa di scontato nella nostra cultura: alle bambine vengono regalate bambole già dalla prima infanzia, e uno dei giochi più comuni è quello del “fare la mamma”. Le donne passano la prima parte del loro periodo fertile a fuggire da possibili gravidanze indesiderate ma quando, una volta cresciute, con un rapporto stabile e con il desiderio di vivere finalmente la loro maternità, scoprono di non poter avere figli in modo naturale, il mondo cade loro addosso. Sembra così assurdo e strano: per la maggior parte della popolazione non è né difficile né complicato, ma circa il 20% delle coppie ha un problema di fertilità. Per la maggior parte di queste coppie è traumatico confrontarsi con un limite del genere. La donna porta con sé la sofferenza maggiore: il confronto con le amiche, con la propria madre, con cognate, sorelle è distruttivo… “le altre riescono, io no”. Inizia così una svalutazione di sé, a volte della coppia e in alcuni casi delle scelte effettuate nella vita. Il bambino che non prende vita è un lutto! Poter accedere a una elaborazione psicologica di tali eventi oltre alla possibilità di avere nuove opportunità attraverso la PMA concede nuove speranze alle donne e alle coppie.»

Come si svolge in concreto il percorso di PMA? Qual è l’impatto emotivo sulla coppia?

«Il percorso di PMA non è semplice: comporta esami di laboratorio, indagini invasive, anamnesi della sessualità di coppia, diagnosi che decretano chi della coppia sia infertile oppure valutazioni che stabiliscono l’assenza di cause organiche. Tutto questo è pesante, complicato e doloroso. Poi ci sono i tempi di attuazione del tutto che non aiutano: nel servizio pubblico italiano i tempi di attesa sono lunghi, circa un anno. Con l’orologio biologico della donna che corre, diventa un’estenuante corsa contro il tempo. Questo percorso mette a dura prova la resistenza delle coppie e soprattutto il loro desiderio di avere un figlio: rapporti mirati quando prescritto oppure l’astinenza per alcuni periodi, terapie ormonali, assunzione di integratori, visite mediche ed ecografie periodiche. Emotivamente è come entrare in un frullatore e ogni tanto è necessario fermarsi a riflettere sul percorso che si sta vivendo. Come se non bastasse, il risultato non è certo e difficilmente si ha successo al primo tentativo. Nel tempo ho visto la maggior parte delle coppie trasformare e rinforzare il loro rapporto attraverso un’esperienza così difficile. In altre, meno per fortuna, ho visto individui cedere sotto la pressione di questo percorso ma soprattutto il peso del dolore vissuto.»

La famiglia e gli amici possono essere d’aiuto e offrire supporto in questa circostanza?

«La condivisione del problema con familiari o amici è una scelta molto soggettiva e ho potuto riscontrare due modalità completamente diverse: donne che condividono l’esperienza con gli affetti e donne che scelgono di tenere segreta la loro situazione. Quest’ultima modalità si è probabilmente sviluppata a seguito della paura del giudizio, della sensazione di essere diverse e di valere meno rispetto a chi riesce a procreare. Nella nostra cultura il termine “famiglia” viene riservato ancora alle coppie con figli. La poca conoscenza dei problemi causati dall’infertilità da parte del mondo femminile sicuramente aumenta pregiudizi, genera scarsa empatia e, spesso, giudizio negativo nei confronti delle donne che non hanno figli. Questo porta molte di loro a tacere, isolandosi anche dalle amiche di sempre che, a un certo punto della vita, sono diventate mamme e parlano solo ed esclusivamente di figli, pannolini, pappe e giochi. Probabilmente senza averne coscienza, in tal modo escludono le amiche senza bambini che vivono l’incubo del non riuscire a diventare mamma e del dover tacere per non sentirsi diverse, senza valore.»

Cosa accade quando la PMA fallisce e la coppia deve fare i conti con la realtà di non poter procreare? 

«Alcune coppie scelgono di investire la loro vita nel lavoro, altre negli animali, oppure nei viaggi o nell’adozione. Certamente come primo passo va elaborato il lutto, ormai reale, del bambino che non è arrivato; successivamente è importante che gli individui della coppia riescano ad avere un nuovo progetto comune. L’adozione non è la sostituzione del bambino che non è arrivato. Non deve essere su un piano secondario, è solo diverso. Per accedere all’adozione occorre fare un nuovo percorso, non semplice, sia di formazione che di valutazione della coppia. Nell’adozione c’è un incontro di bisogni: da un lato una coppia che desidera un figlio, dall’altro un bambino che necessita di nuovi genitori. Un’altra possibilità è data dall’affido, un percorso ancora diverso: non si diventa genitori del bambino ma si fornisce un prezioso aiuto a famiglie e bambini in difficoltà, accogliendo questi ultimi per un periodo limitato.»

Qual è la sua opinione rispetto ai diritti che oggi vengono garantiti alle persone in questo ambito? 

«Nella società attuale vengono messi in discussione diritti acquisiti, ad esempio quello dell’aborto, e al contempo non sono riconosciuti i diritti delle coppie omosessuali o dei single che desiderano diventare genitori. Sono ancora radicati molti pregiudizi e la paura del cambiamento, che in realtà è necessario per evolvere. Questo crea ulteriore sofferenza e solitudine.»

Le chiedo di lasciarci con un consiglio, che possa indirizzare e sostenere le coppie che vivono la difficoltà di un figlio che non arriva.

«Alle coppie che si trovano a cercare un figlio senza avere successo suggerisco di parlare con i medici ginecologi, oppure rivolgersi ai consultori per avere informazioni e consigli mirati. Sei mesi o un anno di tentativi senza successo potrebbero rientrare nella “normalità”, oltre questo tempo vale la pena capire quale sia la situazione fisiologica della coppia. L’angoscia di molte coppie è “non aver chiesto aiuto prima”. La figura dello psicologo può essere di sostegno oppure può essere terapeutica nel periodo di dolore che la coppia deve affrontare. In Italia esistono ad oggi molti centri di fertilità pubblici e privati, con professionisti validi e preparati. Il consiglio che mi sento di dare alle coppie è di cercare il centro e il medico che le faccia sentire seguite e sostenute. Inoltre, come ho sempre consigliato alle persone che ho seguito, è importantissimo che i due componenti della coppia condividano il percorso, come in un viaggio. Bisogna prepararsi agli imprevisti, bisogna riuscire ad affrontare le difficoltà e a volte gli insuccessi. Periodicamente è utile chiedersi se il desiderio iniziale è ancora presente, per continuare il “viaggio” nel modo più sereno possibile. Spesso per la coppia questo è un percorso difficile da affrontare in solitudine e avere qualcuno con cui confidarsi, condividere e sopportare il peso può essere di grande aiuto, che sia un amico o un professionista, l’importante è non barricarsi nel proprio dolore. È fondamentale che la coppia non si perda nella ricerca di un bambino, ed è altrettanto importante che i due individui non perdano loro stessi in un progetto di vita.»

Dopo aver ascoltato le parole della dottoressa Bonamini pare ancor più paradossale che la fecondazione assistita, nel nostro Paese, venga ostacolata da leggi restrittive e demonizzata dall’opinione pubblica quasi quanto l’aborto. Voler stigmatizzare sia chi ha bisogno di assistenza medica per poter procreare e contemporaneamente chi sceglie di non essere madre equivale a denigrare una larga fetta di popolazione. Si ha il sentore che il corpo della donna venga percepito solo come il mezzo per un fine, e non come parte integrante di una persona.

Erna Corsi

Foto in alto: Foto di: Fernando Zhiminaicela da Pixabay 

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