La poesia nel dì di domenica: “Papaveri a luglio” di Sylvia Plath

Sylvia Plath
Per omaggiare la sua grandezza riproponiamo la lirica della poeta che utilizzò il proprio tormento interiore come musa ispiratrice.

Donna, moglie, madre ma, prima di tutto, Sylvia Plath, come abbiamo già avuto modo di scrivere, è stata un’artista straordinaria che, con i suoi versi, mostra al mondo una grandezza dell’anima. Di primo impatto, la loro lettura è di difficile comprensione sia per linguaggio figurativo, sia per le traduzioni che ne sono state fatte. Stefania Caracci, esperta e studiosa della poeta, afferma: «Sylvia Plath è difficilissima da tradurre, perché bisogna andare a pescare di ogni cosa l’esatto riferimento.»

All’inizio ho trovato le sue poesie complesse, cariche di simbolismo, ma il suono dei suoi versi mi ha catturato nel profondo. Volevo capire la sua interiorità, i conflitti laceranti della sua mente, il desiderio di diventare una donna perfetta che non ammette cadute. In questo ultimo periodo ho letto molto della sua vita e mi ha affascinato il modo in cui sia riuscita a raccontare la sua tormentata esistenza interiore.

Plath era in disaccordo con la vita. Aveva un’ossessione per la morte molto profonda che la portava a vivere spasmodicamente ogni attimo in modo intenso, senza pause. Essere madre, moglie e poeta non era facile nel contesto storico americano in cui è vissuta: ha tentato, instancabilmente, di essere accettata dalla società sia come donna libera, sia come scrittrice. Tradita dal marito, Sylvia Plath, lascia un matrimonio già compromesso da tempo, che non le ha mai risparmiato solitudine e mancanza d’amore. Tutto questo accresce il suo tormento facendola morire dentro ancor prima che compisse il fatidico gesto del suicidio.

La sua poesia è fatta di suoni, colori e parole taglienti che mi attraversano la mente e il corpo trasportandomi, anzi travolgendomi all’interno della sua vivida immaginazione, dentro una personalità audace e trasgressiva. È come camminare in un sentiero impervio fatto di ostacoli, trappole e oscurità. La sua non è una poesia per tutti e la sua mente è un rifugio creativo che ha mostrato al mondo attraverso una scrittura libera. Aveva un’anima troppo complessa, riflessiva e intelligente per riuscire a vivere superficialmente, senza lasciarsi scalfire dagli avvenimenti, dal sentirsi non amata, dal pensiero di non valere nulla per nessuno.

«Quello che mi spaventa di più, credo, è la morte dell’immaginazione. Quando il cielo lassù è solo rosa e i tetti solo neri: quella mente fotografica che paradossalmente dice la verità, ma una verità senza valore, sul mondo. Io desidero quello spirito di sintesi, quella forza “plasmante” che germoglia, prolifica e crea mondi suoi con più inventiva di Dio. Se sto seduta ferma e non faccio niente, il mondo continua a battere come un tamburo lento, senza senso. Dobbiamo muoverci, lavorare, fare sogni da realizzare; la povertà della vita senza sogni è troppo orribile da immaginare: è il peggior tipo di pazzia.» Sylvia Plath, 25 febbraio 1956 (dai Diari).

Per La poesia nel dì di domenica, Serena Betti legge per noi Sylvia Plath. Buon ascolto.

Debora Menichetti

Foto in alto: Sylvia Plath

© RIPRODUZIONE RISERVATA

Papaveri a luglio
di Sylvia Plath

Piccoli papaveri, piccole fiamme d’inferno,
Non fate male?
Guizzate qua e là. Non vi posso toccare.
Metto le mani tra le fiamme. Ma non bruciano.
E mi estenua il guardarvi così guizzanti,
Rosso grinzoso e vivo, come la pelle di una bocca.
Una bocca da poco insanguinata.
Piccole maledette gonne!
Ci sono fumi che non posso toccare.
Dove sono le vostre schifose capsule oppiate?
Ah se potessi sanguinare, o dormire! –
Potesse la mia bocca sposarsi a una ferità così!
O a me in questa capsula di vetro filtrasse il vostro liquore,
stordente e riposante. Ma senza, senza colore.

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