Pillole di femminile – Storie piccole che raccontano un mondo grande #126

Protagonista del libro che proponiamo oggi è la vita il cui inizio è già nel titolo: …è nato un bambino di sesso femminile…

Nuovo appuntamento con Pillole di femminile, la rubrica per riflettere su alcuni piccoli grandi temi legati alla vita di tutti i giorni. Partecipa alla nuova call “Abbagli”, invia il tuo racconto inedito entro il 30 aprile 2025.

Edito da Stampa Alternativa nel 1995 il romanzo, scritto da Luisa Puliti, è una sorta di autoanalisi in cui l’autrice, nata nel 1931, si racconta per ritrovarsi e capirsi. La sua notevole capacità introspettiva ci accompagna in un percorso in cui  l’impegno politico, il sesso, la famiglia, la maternità e l’amore vengono narrati senza compiacimento, e, a volte, in modo scabroso.

«Fra i quaderni di scuola di Guido trovai la brutta copia di un tema svolto in classe: “se la vita è una cosa meravigliosa tocca a noi far sì che essa non passi invano, ma bisogna aprire gli occhi e conoscerla a fondo“, c’era scritto alla fine. Aveva 12 anni. Il bambino stava diventando uomo. È presto, con sofferenza, avrei dovuto rendermene conto. Dell’amore morboso e delle gelosie dei primi anni erano rimaste soltanto l’ansia incontrollabile se pensavo fosse in pericolo e l’angoscia se mi convincevo che era gli era successo qualcosa. Una volta, a Ponza, credendolo annegato, ero stata sul punto di gettarmi in mare per morire con lui.

Fra noi c’era un bel rapporto, basato su un grande affetto ma soprattutto su fiducia reciproca e amicizie quasi da coetanei. Parlavamo di tutto, senza remore o falsi pudori. Mi spogliavo e vestivo davanti a lui, qualche volta facevamo il bagno insieme. Talmente disinibito che un giorno aveva voluto mostrarmi come strofinando il suo membro, questo diventasse grande e duro; ero arrossita mio malgrado ma lo avevo abbracciato e mi ero complimentata con lui. Un’altra volta, a tavola, davanti a mio suocero aveva chiesto se mi masturbavo ancora; l’imbarazzo quasi aveva fatto andare di traverso il boccone, però gli avevo risposto che sì, se ne sentivo la necessità, non vedevo perché non avrei dovuto farlo. La faccia del nonno era talmente allibita che scoppiammo tutti e due a ridere.

Poi, improvviso, il distacco.

A Ponza. C’eravamo andati anche l’anno prima. Ed era stato una gioia grande: di quel mare, dei giochi nell’acqua e fra gli scogli, dei tramonti insieme sulla collina guardando affascinati. Gli piaceva stare con me; gli altri ragazzi quasi li ignorava. Un anno in più, quello del passaggio dall’infanzia alla pubertà, una ragazzina stupenda con occhi azzurri e coda di cavallo, gli amici i dischi i primi balli. Se ne andava la mattina e tornava solo per il pranzo e la cena. Poche parole distratte. Se mi vedeva, sotto l’ombrellone o al bar, passava lontano e si voltava dall’altra parte. La sera, quando veniva a letto, nel bacio della buona notte, il fastidio per un gesto che era un rito e un modo per dirci un’ultima volta, prima di dormire, quanto ci volevamo bene.
Ne avevo sentito parlare di questi distacchi, e ne avevo letto sui libri e giornali, però non immaginavo venissero in maniera così netta e crudele. Non sapevo nemmeno che si potesse soffrirne così.»

Serena Betti

Foto in alto: Elaborazione grafica di Erna Corsi

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