Graziella Menichelli: Willie, i nascondimenti e il viaggio nell’arte

Graziella Menichelli
Willie e Graziella, due anime intrecciate, ci invitano a riflettere sulla fragilità dell’essere e sulla forza dell’arte. Le opere dell’artista in mostra, fino al 18 maggio 2024, alla Galleria Luogo Arte Contemporanea di Verona.

«La bambina che si chiama Willie avanza su una rotaia tenendosi in equilibrio instabile con le braccia aperte, di cui una tiene stretta una banana, l’altra una bambola straordinariamente malridotta con una scarmigliata parrucca bionda.

È un’apparizione impressionante, magra come uno stecco e spaventevolmente bardata di vecchi orpelli. Indossa un abito lungo da sera di velluto blu con un colletto sporco di trina color crema e una collana di strass luccicanti. Ai piedi ha un paio di scalcagnati sandali d’argento con vistose fibbie decorative. I polsi e le altre dita brillano di gioielli di vetro. Si è goffamente imbrattata il viso infantile di rossetto e le labbra sono assurdamente conciate ad arco di Cupido.

Non ha più di tredici anni e, nonostante il trucco, le rimane addosso qualcosa di inesorabilmente infantile ed innocente. Ride spesso e sfrenatamente, con una specie di precoce tragico abbandono.» (tratto dal racconto Proibito all’interno della raccolta I blues di Tennessee Williams).

Graziella Menichelli si porta appresso la sua Willie, non è un personaggio, è un personaggio nel personaggio, è lei stessa. Graziella con il suo bagaglio di passato, con la sua valigia scalcagnata che le dice: «aprimi, ci sono ancora.» Dentro il provino al Piccolo di Milano, sul testo Proibito, le luci della ribalta, le tenebre dello sprofondamento delle illusioni, le cadute, «è arrivato il modulo per il provino», «è necessario frequentare tutti i giorni la scuola». E ancora caduta, rinascita, come in un gioco di specchi, palcoscenico, mestruazioni, sguardo del Grande Maestro, imperfezioni, parte improvvisata, richiesta di ritornare, «trovare insegnante di recitazione», indirizzi, dieci anni di scuola, libretto ferrovia, provini con registi, tanti registi, «ho recitato sul palcoscenico del Piccolo».

Willie lei ce l’ha dentro. Scaraventate nella vita, trafitte dalla vita nella loro tenerezza tragica. Si fatica a crescere, bambina che diventa adulta, perdita dei sogni, super adulta che ha bisogno della bambina, di camminare in bilico sulla rotaia, di truccarsi per sembrare grande, ammiccare, stringere a sé la bambola, qualcosa di confortevole che non ti tradisca, spettinata, ora i sogni possono ancora realizzarsi, frammenti di una vita, una vita frammentata che si snoda lungo le rotaie, linea Verona-Milano, Milano-Verona, realtà che irrompe nel sogno, che rompe il sogno, bambola spezzata e ancora Willie e ancora Graziella, salgono sul treno, attori, attrici, maestri, abbandoni.

Il viaggio come attesa, come un durante che può arrivare da qualche parte, frenata brusca, ri-partenza, c’è qualcosa alla fine? «Magari studio il copione, magari mi sento male e fuggo, non vado, vado, se c’è una sola possibilità me la voglio giocare, se torno indietro dove torno?»

Questa la matrice del suo percorso artistico, il percorso di Graziella Menichelli che dovrà sempre fare i conti con la bambina, con Willie come richiamo di un modo di essere, di un mondo distinto dal mondo eppure tanto più dentro a esso di qualsiasi altro, quasi un ossimoro che si spiega nel suo essere frammentato eppure facente parte di un intero: le emozioni.

Qualche anno fa, a una premiazione, Meryl Streep disse: «Prendete tutti i vostri dolori e metteteli nell’arte.» Mai pensiero fu così appropriato come questo per una persona come Graziella Menichelli, sembra un’affermazione che la riguarda, che la abita.

Graziella Menichelli - Opera
Graziella Menichelli – Maschera

Lei è artista che trova nel teatro la sua arte e nell’arte il suo teatro senza soluzione di continuità con riferimento pirandelliano dal quale non si può prescindere. Lei che percorre sentieri espressivi, che sperimenta, costruisce burattini, teatrini, inventa storie da raccontare, spettacoli. Lei che si dedica alla fotografia (analogica) e vince premi internazionali. Lei che cuce e rammenda arazzi, sedie, come se il rammendo fosse metafora della sua vita che si traduce nel fare, nel mettere assieme i pezzi e dare loro nuova linfa vitale, possibilità.

Lei e le sue tuniche come pantheon di innumerevoli personaggi teatrali. Sempre lei che costruisce maschere straordinarie con materiali di recupero, riciclo, altro elemento fondante la sua poetica: dare allo scarto altra visibilità, dargli dignità assumendo altre forme, quella artistica, il cui pensiero sottostante si rivolge alla salvaguardia dell’ambiente. Lei che fa collage con le fotografie, le elabora seguendo criteri di composizione sconosciuti che solo lei vede nella dimensione dell’invisibile.

Laddove il mondo è nel “tutto fuori”, lei al contrario è nel “tutto dentro”. La sua è una relazione intima e intimista con esso, porta avanti il segno dell’ombra, del nascondimento, del farsi vedere poco, una prospettiva in cui l’arte è causa ed effetto, in cui l’arte e la vita si sovrappongono, non più distinguibili, si può dire che la vita di Graziella Menichelli sia un’opera d’arte, anche il nascondersi assume questa connotazione.

E poi la contraddizione che contraddistingue ogni personalità complessa e creativa: non mi interessa il confronto con il mondo, le mie opere vorrei fossero viste, mai più mostre, nessuno mi apprezza, questa città mi ha emarginata, è una città da valorizzare, la mia vita è piena di macerie, le macerie come opera d’arte, facciamo un’esposizione nel campo di lavanda, nella yurta con le tuniche, ma chi vuoi che venga, lassù nella grottina, si è venuta tanta gente, pochi guardavano con interesse.

Difficile vivere con se stessi, difficile coesistere nella dimensione del multiforme, tanti troppi perturbanti si affacciano alla finestra di queste case, tuttavia arriva il salvataggio, l’ancora che impedisce ai marosi di allagare tutte le stanze: il sentire che c’è una via d uscita, la possibilità di mutare, l’agire per intuizione, rendere visibile l’invisibile, assumere le fattezze del demiurgo che crea altri mondi che già preesistevano ma pochi riuscivano a vedere, farsi portavoce di altro dal solito conosciuto, insomma consegnarsi all’arte.

Graziella Menichelli si è salvata, le braccia dell’arte l’hanno accolta e accettata nel suo essere anarchica, ecco Willie che ritorna, posizione che la porta a non sottostare a stilemi di correnti artistiche ma a concepire uno stile tutto suo che le permette di agire, di essere libera da condizionamenti e attribuzioni definite.

È un lavoro incessante di fili, aghi, stoffe, carte, colori, macchine da cucire, scatole, colle, spaghi e tutto, a un certo punto, come per incanto, prende forma e si struttura con connotazioni di significato e significante che suscita meraviglia e stupore, desiderio di scoprire altro.

Non è la spiegazione, credo che l’arte non vada spiegata ma sentita, ma appunto il sentire ciò che l’opera di Menichelli trasmette e dove ci porta, nel suo essere evocativa, taumaturgica, succede qualcosa dentro dopo aver visto le sue opere, le domande che ci pone, può aprire orizzonti, oppure alzare muri, sempre, comunque, non lascia indifferenti, sono mondi che ci percorrono, ci prendono per mano, ci producono scariche elettriche.
I miracoli del teatro, i miracoli dell’arte.

Le opere di Graziella Menichelli saranno in esposizione fino al 18 maggio 2024 presso la Galleria Luogo Arte Contemporanea di Daniela Alastra in Va Carducci 43 a Verona.

Paola Bellinato

Foto in alto: Graziella menichelli da “Magico Evento di un Teatro Archetipo” di Matteo Ierimonte

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