L’arte di appoggiare gli oggetti: Pinin Brambilla e Céleste Albaret

Pinin Brambilla
Il gesto portatore in sé di bellezza e carattere vissuto come momento di conoscenza e rivelazione. Arte esso stesso.

Dal quinto numero de L’Altro Femminile, donne oltre il consueto, scarica il PDF della rivista o sfogliala online.

Mi ha sempre divertito avvicinare le per­sone anche solo rimanendo a guardare come ripongono i propri oggetti. Iso­lando i gesti di un qualunque filmato in cui si veda Pinin Brambilla mentre ap­poggia un microfono, un foglio o un bic­chiere, si osserverà, alla prima, un reper­torio di volontà, dolcezza e caparbietà.

Le stesse inflessioni si avvertono quando la si ascolta mentre descrive un mazzetto di garofanini intravisto nella Cena di Santa Maria delle Grazie del cui restauro si è occupata per ventidue anni. Intorno a lei sembra che le persone sbattano le cose, che le affidino alle superfici in modo maldestro, perché, per dirla con Focillon (H. Focillon, Elogio della mano, in Vita delle forme, Einaudi), la mano ri­mane l’organo più specializzato, quello che tradisce, ancora, la nostra natura.

Non è un caso che, nelle comunità an­cora felicemente rurali, i contadini siano guardinghi verso chi gesticola troppo mentre parla. Nelle apparizioni fotogra­fiche (o di girato) si vede Giuseppina, per tutti Pinin Brambilla, mentre si ac­comoda la giacca sulle spalle con mo­vimenti quasi inavvertibili, lievi, che si accordano con la fierezza, mai eclatante, della sua intelligenza.

E con la stessa mano, risoluta e sensibile, la si vede indicare a Federico Zeri, salito sul ponteggio delle Grazie col bastone, la traccia di un chiodo, là sulla testa di­pinta, impiegato, a parer suo, da Leo­nardo per tirare le linee prospettiche di tutti gli apostoli.

Piano, piano

Erano impacchi di carta giapponese, imbevuti di liquido, grandi come un’un­ghia, quelli di cui Pinin si era servita per prendersi cura delle pareti dipinte da Masolino a Castiglione Olona. Un ri­tuale composto, rigoroso.

«Le mie mani» dice il Centauro «cono­scono le rocce, le acque, le innumerevoli piante e i più sottili rivolgimenti dell’aria, poiché le esercito, nelle notti più serene ed oscure, a sorprendere i venti […]» (H. Focillon, Elogio della mano, in Vita delle forme, Einaudi).

Céleste Albaret Foto di Segonzac - Paris Match da: pileface.com
Céleste Albaret Foto di Segonzac – Paris Match da: pileface.com

Verrà dalla porticina, Céleste

Penso ad altre dita: quelle di Céleste Albaret, per esempio, che convinsero Monsieur Proust (C. Albaret, Monsieur Proust, SE) ad assumerla nella propria casa. Come sapeva appoggiare la deu­xième colazione nella nuvola di fumo dei suffumigi, quella mano?

In boulevard Haussmann le istruzioni erano chiare: «Arrivata a questa porta non bussi, mi raccomando. Se è per il croissant, vedrà su un tavolo, accanto al letto, un gran vassoio d’argento con una piccola caffettiera, la tazza, la zuc­cheriera e la lattiera. Metta il croissant col piattino sul vassoio e se ne vada.» (C. Albaret, Monsieur Proust, SE). Fermezza e tenerezza, insieme.

Mentre ascolto parlare Pinin Brambilla a proposito del dattero dipinto nella lu­netta di sinistra, penso al dattero vero, alla vera viola che ha potuto sottoporsi alla sua carezza. «Piano, piano» come amava ripetere.

Beatrice PasqualiBeatrice Pasquali elabora le categorie tattili delle super­fici, siano dipinte, plastiche o solo immaginate, attingendo in modo originale e ludico al novero scientifico, letterario e popolare.

In alto: Pinin Brambilla Barcilon al lavoro nella chiesa di San Marco a Milano (1956) Foto da: ilmanifesto.it

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