Nuova rubrica, quasi una bucolica, della nostra Serena Betti che promette di introdurci alle sudate gioie della vita agreste, senza regolarità di pubblicazione.
Dopo una vita da cittadina sette anni fa mi sono trasferita in Casentino. La nostra casa è un po’ fuori dal paese e quando usciamo dalla Provinciale dobbiamo percorrere un chilometro di strada sterrata. Quando sono arrivata, le figlie dei nostri vicini di casa avevano tredici e quindici anni e la mamma doveva ogni mattina presto, sabato compreso, accompagnarle nel paese vicino a prendere il treno per Arezzo. Poi è arrivato il momento delle discoteche. Sono passata anch’io da quel periodo, ma vivevo in città ed è molto diverso. La strada sterrata di notte è un’avventura nel buio: istrici, cinghiali di dimensioni gigantesche che si mettono in mezzo alla strada, caprioli che spaventati dai fari saltano davanti all’auto all’improvviso sono tutti ostacoli da mettere in conto.
Guardavo la mia vicina con totale ammirazione: le figlie, il lavoro di otto ore al giorno in una piccola azienda di scarpe e poi l’orto. La parte di preparazione del terreno o le zappature solitamente le fanno gli uomini, ma innaffiature, raccolta e trasformazione spettano a noi donne. Poi ho iniziato a fare amicizia con altre famiglie, alcune tedesche e alcune di qui. Abbiamo “dirimpettai” a 50 m. d’aria. Ma per andare a trovarli impieghiamo 40 minuti di strada. In alcuni casi si fa prima ad arrivare a piedi attraverso il bosco.
Mi è sempre piaciuto in città avere tempo per un aperitivo con le amiche. Qui c’è un unico piccolo bar nella piazza centrale, ma è frequentato da uomini e ragazzi. In occasioni speciali si incontrano anche delle ragazze ma è più raro. Le donne a quell’ora se non sono al lavoro sono a casa, a preparare il pranzo o la cena. Il carico di lavoro per una donna che vive in piccoli paesi, serviti poco dal trasporto pubblico, è molto alto, soprattutto quando si sceglie di vivere anche coltivando un po’ di terra.
Le donne hanno straordinarie doti di adattamento, resistenza e creatività, ma ho potuto constatare che in certe situazioni sono ancora più penalizzate rispetto alla conciliazione dei tempi di lavoro e tempi per la famiglia. E che molto spesso tempo per loro ne rimane ben poco, quando ne rimane.
Posso sicuramente affermare però che molta energia la si recupera proprio quando si può lavorare la terra: scavare una buca per far posto a una nuova pianticella, mettere a dimora i semi, potare, togliere le erbacce dalle insalate, dagli spinaci, togliere le larve delle cavolaie dalle crucifere, zappettare. Per non parlare di una pratica assolutamente zen e meditativa come innaffiare.
Innaffiare. E a questo proposito mi piace citare Pia Pera di cui ho già scritto che ne La virtù dell’orto afferma:«[…] per nulla al mondo volevo rinunciare a quel momento magico, all’alba oppure al crepuscolo quando, col pretesto di compiere un lavoro indispensabile, si va a contemplare l’orto quasi fosse un’immagine sacra.»
Serena Betti
In alto: Vita in campagna
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Che bella idea questa nuova rubrica,ed è sempre un piacere leggerti
Brava Serena
Mi piace questo racconto.
Vi ci trovo parte del mio vissuto.
Descritto fedelmente