Figlia del padre. La centralità di un legame indissolubile nel bene e nel male

Un rapporto complesso, allo stesso tempo mutevole e invariabile attraverso i secoli, narrato da molte voci che sembrano divenire una sola.

Dal quarto numero de L’Altro Femminile, donne oltre il consueto, scarica il PDF della rivista o sfogliala online.

Il rapporto fra padre e figlia è uno dei più trattati nella letteratura, fin dagli albori. Una complessa rete di emozioni e sentimenti più o meno reciproci lega indissolubilmente una coppia di persone che ha questo tipo di rapporto. Dalle tragedie greche che ci hanno consegnato icone indissolubili come Antigone, Elettra e Ifigenia passando da William Shakespeare per arrivare (finalmente) ai racconti di Jane Austen, delle sorelle Brontë, di Louise May Alcott e di Virginia Woolf, la narrazione varia seguendo usi e costumi che si riflettono inevitabilmente fra le mura domestiche. Alcuni aspetti, però, sembrano non risentire minimamente del passare del tempo.
Quando, in epoca piuttosto recente, la donna ha iniziato ad acquisire maggiore indipendenza, ha potuto anche, in quanto figlia, affrancarsi dal volere spesso dispotico del padre. Questo non l’ha però salvata dal fascino che egli esercita sul nostro cuore di bambine. Per ogni figlia femmina il padre è, a tutti gli effetti, il primo amore. Soprattutto per le primogenite rappresenta anche il primo contatto con l’altro sesso, e diverrà nel loro futuro di donne un parametro di riferimento, non sempre realistico ma sicuramente presente e ingombrante.
L’autorità paterna è un elemento fondante per il carattere di molte di noi, così come la ricerca dell’amore e dell’approvazione del genitore. In letteratura, le scrittrici portano con sé questo fardello anche fra le pagine, consegnandolo poi nelle mani dei lettori in una sorta di catarsi liberatoria.

Una donna

Sibilla Aleramo, in apertura del suo primo libro dal titolo Una donna (1906), narra il suo esclusivo rapporto con il padre, dal quale la madre viene quasi esclusa. Figlia primogenita e prediletta vede in lui tutto il suo mondo. Le attenzioni che le vengono riservate la convincono di essere speciale, differente e migliore rispetto a tutti quelli che la circondano. La mentalità aperta del padre e il suo pensiero ateo ne fanno una mente libera, che alle soglie dell’adolescenza scandalizza le conoscenti della madre dichiarando di non volere un marito e dei figli. Lui le concede di poter lavorare nel suo ufficio, donandole una certa idea di indipendenza e una sensazione di importanza richiedendo anche il suo parere su diverse questioni. È un rapporto che appare idilliaco ed equilibrato, appagante per entrambi dal punto di vista emotivo e di crescita personale. Lentamente e quasi contemporaneamente, però, i due intraprendono strade che logorano in maniera definitiva e irreparabile quello che avevano costruito insieme. Le conseguenze delle loro azioni li separano, lasciandoli senza la possibilità di un chiarimento e generando reciproci rancori impossibili da dissipare. Le scelte della figlia sono una conseguenza diretta di quelle del padre, ma avvengono senza questa consapevolezza, che arriva solo a posteriori quando i giochi sono fatti e lasciano l’amarezza della perdita e dell’assenza di quello che aveva creduto essere il centro del suo mondo.

Lessico Famigliare

Natalia Ginzburg, nel 1963, pubblica con Einaudi Lessico Famigliare, ottenendo nello stesso anno il riconoscimento del Premio Strega. Il libro autobiografico narra le vicende della sua famiglia fra gli anni ‘30 e ‘50 del secolo scorso, intrecciate con gli eventi storici che hanno dilaniato l’Europa. I protagonisti del romanzo sono i vocaboli con cui i componenti della famiglia si rivolgono l’un l’altro, ma attraverso di essi vediamo emergere le loro personalità, sempre più definite e vitali. Fra tutti si distingue però il padre Giuseppe, scienziato e professore di biologia, che svetta come un gigante. Il lessico raccontato dalla figlia è quasi sempre il suo, con i vocaboli particolari che ne delineano il carattere, sottolineando il sentimento nei suoi confronti.

Non ti muovere

Quasi quarant’anni dopo, nel 2002, lo stesso Premio Strega viene assegnato a Margaret Mazzantini per il suo romanzo Non ti muovere (Mondadori, 2001), dove troviamo di nuovo il rapporto padre-figlia al centro della narrazione. Questa volta, però, la voce narrante è quella di lui, Timoteo, che in un momento drammatico ripercorre la propria vita come se la stesse raccontando alla figlia adolescente. Il loro rapporto è quasi assente nella storia, in quanto i fatti si svolgono prima della nascita di lei, ma la forza del sentimento che li lega traspare in continuazione. Le confessioni fatte da Timoteo in una sorta di ricerca di redenzione, come un’offerta data in pegno per il bene della figlia, portano a una rivelazione sulla vera natura del loro rapporto. La figura del padre proposta da Mazzantini è meno dittatoriale rispetto a quelle del passato ma questo cambiamento avviene solo in tempi molto recenti, lasciando talvolta spaesati gli uomini che devono ricostruire la loro figura genitoriale utilizzando un riferimento che ha perso valore.

La più amata

Teresa Ciabatti, nel suo romanzo autobiografico La più amata (Mondadori, 2017), pone se stessa su un palcoscenico che diviene altare sacrificale, in omaggio alla divinità che le fa da padre. Bambina e adolescente negli ultimi decenni del ‘900, ha subito sulla propria pelle la distonia di un mondo in evoluzione in contrasto con una figura paterna che male vi si adattava, seguitando a cercare di mantenere l’ordine con l’autorità indiscussa e, talvolta, con il terrore. Ed è così che la bambina prediletta, sempre protetta da un padre potente, si ritrova donna sperduta, sprovvista delle armi necessarie per affrontare la vita.

I vostri figli non sono vostri figli

A un secolo di distanza, le vicende vissute da Marta (vero nome di Sibilla Aleramo) e da Teresa si somigliano fin quasi a sembrare l’una la copia dell’altra. 
Oggi sempre più uomini adottano un ruolo di padre adeguato alla nostra epoca, ma soprattutto adatto a creare un rapporto sano e solido con i figli e con le figlie. A loro va riconosciuto il grande merito di sapersi mettere in gioco e, a volte, anche di saper mettere in discussione ciò che hanno vissuto nella famiglia di provenienza. Dove, invece, l’uomo di casa si impone come capo famiglia pretendendo di imporre anacronistici divieti si crea un clima di conflitto che, quasi sempre, produce risultati devastanti. Il desiderio di dominio che provano certi uomini nei confronti dell’altro sesso si accentua verso le figlie che reputano una proprietà in quanto “frutto dei loro lombi”. 
Riconoscere i propri figli, che siano maschi o femmine, semplicemente come persone distinte da sé è il primo passo per rendere loro la libertà e il rispetto che meritano. Magari così, in un prossimo futuro, potremo leggere nuovi romanzi, anche autobiografici, con storie di tutt’altro genere.

«I vostri figli non sono vostri figli.
Sono i figli e le figlie dell’ardore 
che la vita ha per se stessa.
Essi vengono attraverso di voi, 
ma non da voi,
e benché vivano con voi 
non vi appartengono.»

Brano tratto da: Il Profeta di Gibran Kahlil Gibran

Erna Corsi

Foto in alto: Virginia Woolf

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