Pillole di Femminile – Storie piccole che raccontano un mondo grande #22

C’era la neve: era l’8 dicembre, il giorno dell’Immacolata Concezione.  Un racconto di Giovanna Righetti.

Pillole di femminile, la rubrica per riflettere su alcuni piccoli grandi temi legati alla vita di tutti i giorni. 

Avresti dovuto nascere il 20 febbraio e quel giorno era l’8 dicembre, la solennità dell’Immacolata Concezione. Nevicava e avevo la tosse. Una tosse secca e fastidiosa. In bagno mi accorsi di una vistosa macchia di sangue sulla biancheria intima. Mi allarmai profondamente; tuo padre, dopo aver sentito il pronto soccorso, mi convinse a recarmi presso l’ambulatorio ospedaliero per un controllo.

Erano circa le sei di sera quando partimmo con la nostra vecchia Fulvia blu. Tutto era coperto da una coltre bianca, soffice. Non incontrammo anima viva per strada e quel silenzio magico che avvolgeva ogni cosa veniva di tanto in tanto interrotto dalla mia tosse o dalle battute spiritose che tuo padre azzardava nel tentativo di esorcizzare la sua e la mia paura.

La rampa di accesso alla maternità era così ghiacciata che non riuscimmo a salire nonostante i ripetuti tentativi. Abbandonammo la macchina e proseguimmo a piedi. Arrivammo in ambulatorio, dove il ginecologo mi stava aspettando. La visita fu telegrafica come pure la diagnosi: il bambino o la bambina, perché all’epoca si conosceva il sesso solamente al momento della nascita, sarebbe nato presto, probabilmente subito.

Il medico ci comunicò le sue riserve sul tuo stato di salute, non tanto in riferimento al peso ma per la grande prematurità di cui eri portatore. Rimasi annichilita ma dovevo pur trovare il coraggio di affrontare il parto. Il Cielo mi aiutò e alle nove di sera nascesti tu: pesavi un chilo e mezzo per quarantatré centimetri di lunghezza.

Sentii il ginecologo e l’équipe sanitaria presente esultare per il tuo aspetto fiorente e reattivo. Poi, compiute le procedure di routine, ti deposero in un’incubatrice e ti mandarono d’urgenza al reparto prematuri. Ti vidi appena, non mi permisero neppure di stringerti una manina. Bisognava far presto, non c’era tempo da perdere.

Mi sentivo un contenitore svuotato; ero confusa, dolorante, sconsolata e umiliata. Arrivata in camera guardai sofferente le tre mamme che stavano allattando i loro bambini, poi nel letto mi girai verso la parete. Ferita, quella notte piansi tutte le lacrime che avevo.

Non potevo rimanere in quel reparto a logorarmi nel rimpianto dell’accaduto; chiesi e ottenni di tornare a casa dopo solo due giorni. Passai a trovarti. Mi tremavano le gambe. Ti vidi attraverso una vetrata in lontananza perché era troppo presto per staccare la spina dell’incubatrice ma il personale mi informò che già respiravi autonomamente, che ti nutrivano con un sondino, che digerivi benissimo, che godevi di buona salute.

Papà portava ogni mattino il mio latte alla banca del latte dove veniva raccolto, pastorizzato insieme a quello di altre mamme donatrici e preparato per i pasti di tutti i neonati prematuri. Iniziai a venire a farti visita ogni pomeriggio. Le puericultrici avvicinavano l’incubatrice al vetro e io rimanevo a guardarti, in contemplazione fino a quando non la ritiravano e, salutandomi abbassavano la tenda. Non era il massimo ma me lo facevo bastare.

Dopo un mese e mezzo ebbi il permesso di entrare in reparto e fu possibile stringerti, coccolarti, darti la poppata, baciarti e ribaciarti. Ti trovavo sveglio al mio arrivo, la puericultrice sosteneva che mi stavi aspettando. Ti portammo a casa il 5 di febbraio; pesavi due chili e mezzo ed eri completamente ristabilito. Il primario però ci fece così tante raccomandazioni che andai in crisi.

Iniziai a preoccuparmi di tutto e per tutto, cercavo informazioni sull’enciclopedia medica riguardo ai prematuri, controllavo in modo maniacale ogni tuo movimento, vivevo con la fissa di scoprire prima o poi qualche anomalia nel tuo sviluppo fisico o neurologico.

Rispetto ai neonati della tua età, ben presto raggiunti nel peso, mantenevi quel ritardo psico-motorio che gli specialisti definivano fisiologico in relazione alla tua storia. A nove mesi ancora non stavi seduto da solo; ero veramente molto preoccupata.

Il professore che ti seguiva ci suggerì allora di stendere una moquette a tutto pavimento nella nostra grande cucina, di metterti a pancia in giù al centro della stanza, di mostrarti da lontano i tuoi giocattoli e di invitarti a raggiungerli con o senza la mia presenza.

Non ti piaceva questo gioco e strillavi disperato quando ti lasciavo solo, ma quello che accadde nei tre mesi successivi fu una magia. Cominciasti a rotolare su te stesso fino a raggiungere l’obiettivo; subito dopo a gattonare in avanti e indietro, a rimaner seduto e, al compimento del tuo primo anno, perfino a parlare con quel lessico originale e simpatico che esibivi compiaciuto alle nostre incalzanti richieste.

La mia angoscia piano piano scivolò via ma sono consapevole di essere stata, purtroppo e comunque, una mamma apprensiva. Per fortuna sei riuscito a contrappormi il tuo desiderio di vita, di autonomia, sviluppando fin da piccolo quell’autostima che ha facilitato l’armonia della tua crescita.

Giovanna Righetti

Foto in alto: di Kellepics e Jill Wellington

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1 commento su “Pillole di Femminile – Storie piccole che raccontano un mondo grande #22”

  1. Bellissimo questo racconto, tenero e commovente: mi ha fatto piangere….Grazie, Giovanna!
    Mariagrazia Francioni

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