Di cognome e cognomi, di voti e di altre sciocchezze

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La legge italiana indica che la moglie ha il diritto, non l’obbligo, di aggiungere al proprio il cognome del marito.

Il 12 giugno scorso, in alcune città italiane, gli aventi diritto al voto sono stati chiamati alle urne per rinnovare la giunta comunale ed eleggere un nuovo sindaco. In tutta la penisola, inoltre, si votava per ben cinque referendum, i cui quesiti da qualcuno sono stati ritenuti troppo tecnici per i cittadini che non si occupano di giurisprudenza. Va forse ricercata in questa difficoltà la scarsa affluenza che ha determinato il non raggiungimento del quorum. 

Ho sempre sostenuto che votare sia un dovere, prima ancora che un diritto. È lo strumento con cui si esercita la democrazia e sottrarvisi equivale a rinnegarla. È costata sudore e sangue ai nostri nonni e bisnonni; a noi tocca difenderla solamente apponendo una X per esprimere la nostra preferenza, quindi mi sembra doveroso non esimersi. 

Domenica mattina, fedele al mio pensiero, mi sono quindi recata presso il seggio che mi è stato assegnato. Ho atteso il mio turno (per fortuna l’affluenza è stata sufficiente nonostante la bellissima giornata, praticamente estiva) e ho consegnato i miei documenti a una ragazza gentile che con qualche difficoltà ha rintracciato il mio nome sull’elenco davanti a lei. 
«Eccolo! Erna Corsi in…»
E poi ha pronunciato il cognome di mio marito. 
«Scusi?» 
Lei lo ripete, con candore. 
A quel punto mi sono rivolta verso l’altro tavolo, dove il mio consorte stava eseguendo la mia stessa operazione e ho chiesto con altrettanto candore se vicino al suo nome fosse indicato anche il mio cognome. Dopo il primo momento di stupore, ci siamo fatti una bella risata perché l’intento non era certo quello di imputare agli scrutatori questo imperdonabile errore. 

Una sentenza della Corte di cassazione del 13 luglio 1961 sull’articolo 143 bis del Codice Civile sottolinea che la moglie ha il diritto, non l’obbligo, di aggiungere il cognome del marito al proprio. Addirittura una sentenza molto recente prevede che per i figli sia utilizzabile indifferentemente uno dei cognomi dei due coniugi. Mi chiedo allora da dove esca questo rigurgito del passato, e con quale vetusta modalità vengano compilate queste liste di elettori: secondo l’articolo 2 del Decreto del Presidente della Repubblica dell’8 settembre 2000, n.299, sulle modalità di rilascio, aggiornamento e rinnovo della tessera elettorale personale a carattere permanente, a norma dell’articolo 13 della legge 30 aprile 1999, n. 120, «per le donne coniugate il cognome può essere seguito da quello del marito». Alcune troveranno quindi il doppio cognome anche sul certificato elettorale, un documento personale, oltre che nel suddetto elenco di elettori presso il seggio, ma dovrebbe essere una scelta della donna, non un’imposizione delle istituzioni.

Se per me trovare il cognome di mio marito accanto al mio può suscitare un moto di ribellione per principio più che per vera stizza, posso solo immaginare che effetto possa fare a chi magari sta vivendo un divorzio difficile. 
Suvvia, avete il nostro codice fiscale e il numero della carta d’identità, avete davvero bisogno del cognome di nostro marito per riconoscerci?

Erna Corsi

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