Elena Brilli: l’arte come terapia ed espressione delle emozioni

Elena Brilli
Può l’arte essere veicolo e cura? Sì, se la si lascia esprimere senza vincoli esattamente come fanno i bambini.

Conosco Elena Brilli da alcuni anni, l’intelligenza brillante, la mente eclettica, la creatività senza posa e ho deciso di farvi un regalo e raccontarvi un pezzetto di lei. Ci mettiamo sedute a parlare, con le sue gatte che ogni tanto ci vengono a salutare e gli schiamazzi dei nostri figli che giocano qualche metro più in là.

Ci parli un po’ del suo percorso artistico.

«Ho frequentato la scuola di architettura per una decina di anni e poi ho abbandonato per problemi familiari. Successivamente ho fatto percorsi lavorativi che mi hanno portato in tutt’altra direzione, ma nel 2018, a seguito di un periodo di malattia, ho riscoperto le arti figurative. Disegnare e dipingere si è rivelato terapeutico, utile a spostare l’attenzione su qualcosa di bello allontanandola dalle cose negative della vita, così sono tornata a riprendere in mano matite e pennelli e da allora creo.»

La verità velata
La Verità Velata – acrilici su gomma eva, 2022

Che cosa la ispira per le sue opere?

«In generale io sono attratta dalla bellezza, che si può trovare in qualsiasi cosa. Quindi che io veda immagini reali o figurative, che sia il profilo di un volto o un intaglio su un mobile, io le fotografo e ci lavoro sopra. Ma questo è lo spunto, l’ispirazione invece è quello che succede fuori. Sono molto attenta al comparto emotivo che proviene da fuori, soprattutto quando viene in qualche modo destabilizzato. Che sia il Covid, l’occupazione talebana in Afganistan, la guerra in Ucraina o un avvenimento del momento, tutto diventa riflessione, che cerco di trasfigurare attraverso i colori e la bellezza, soprattutto se sono emozioni negative.»

Molti soggetti delle sue opere sono femminili. C’è una ragione?

«Disegno le donne per scelta, è una sorta di omaggio. Do voce alle emozioni delle donne, che spesso non si riescono a esprimere. Attraverso i miei quadri rendo reale, visiva, un’emozione che ho dentro. Le donne hanno un mondo interiore che è difficilmente comprensibile, anche da se stesse a volte, se non attraverso un grande lavoro di introspezione, di comprensione del sé. Questa comprensione avviene soltanto in età adulta e spesso a seguito di una serie di traumi, forse anche per il tipo di educazione ricevuta. Il trauma è purtroppo congeniale per crescere, anche se non è un percorso auspicabile, ma spesso se non viene fatto non diventiamo le donne che siamo, cioè in grado di esprimere tutte le nostre potenzialità. Probabilmente se io non fossi stata male nel 2018 non avrei iniziato a dipingere. Quello che sono adesso dipende da quel trauma lì.»

Quindi secondo lei l’educazione gioca un ruolo fondamentale della comprensione e nell’espressione di sé.

«Noi non siamo educate a esprimerci. Anche gli uomini sono soggetti a uno stereotipo, però per l’uomo è tendenzialmente più semplice adeguarsi. È uno stereotipo che è più vicino alle loro caratteristiche, alle loro attitudini, uno stereotipo che li ricalca in maniera abbastanza fedele, rendendo l’adattamento una cosa quasi normale. Lo stereotipo della donna, invece, non le corrisponde assolutamente.»

Mother in War
Mother in War – acrilici e smalti su cartone telato, 2022

Anzi, certi stereotipi sono decisamente nocivi.

«Gli stereotipi sono giusti nel momento in cui una donna li sente veramente suoi, altrimenti sono una gabbia. Pensando come esempio un percorso lineare, quello che può essere avere un marito, dei figli, una famiglia, un percorso di accudimento insomma, quello stereotipo ha un accezione positiva. Ma nel momento in cui una donna manifesta esigenze diverse, sfumature diverse da quella che è la linea stabilita da altri, viene sicuramente giudicata in senso negativo, mai in senso positivo, ed è per questo gli stereotipi femminili diventano gabbie per le donne. A un uomo sono concesse delle scappatoie, o per lo meno giustificate, le scappatoie delle donne sono sempre giudicate negativamente.»

Per creare le sue opere usa materiali e tecniche diverse, giusto?

«Sì, sperimentazioni diverse. In tanti mi chiedono se ho un stile e alcuni colleghi pittori maschi (che ovviamente hanno bisogno degli schemi) mi dicono che prima o poi verrà fuori. Io non credo di avere uno stile e non credo neanche di volerlo perché io lavoro con qualsiasi cosa. Nei miei attrezzi di lavoro ci sono gli acrilici, le chine, i gessi, i pennelli, le mani, la tela, la carta, il legno, la gomma eva… Qualsiasi cosa è supporto e strumento. Se mi si vuole assegnare una tecnica è questa: qualunque cosa va bene. Perché l’obiettivo non è il bel disegno, io non parto dal voler fare un bel disegno. Io prendo degli spunti e poi quasi prende vita da solo. Di conseguenza quello che viene fuori io non lo so all’inizio, lo so solo alla fine, ed è la parte bella, perché viene fuori quasi in maniera automatica quello che voleva essere all’inizio. C’è un’idea, ma tutto ciò che nasce nel mezzo è estemporaneo, compreso l’uso dei materiali. È proprio il momento, se può esserci una definizione della mia pittura possiamo chiamarla “emozionale”, che nasce dalle emozioni. Tutto il resto è complementare e tecnicamente anche ininfluente.»

Cosa le trasmette la pittura? 

«Quando dipingo sto bene. Inseguo questa necessità di benessere, che altri trovano nello yoga, il camminare o quant’altro, e la trovo nell’esprimermi dipingendo. Nel momento in cui mi ritaglio del tempo per stare bene, l’opera viene fuori da sé e ricalca le emozioni che in quel frangente riempiono il mio stare bene. Di conseguenza quello che mi riempie, che mi permea da dentro viene fuori, come in una sorta di catarsi.»

Le fa parte di un gruppo di artisti del suo territorio con i quali ha partecipato anche a esposizioni e mostre.

«AMO.Art è un gruppo di artisti di Montemurlo, io mi occupo di tutta la parte che riguarda contatti, organizzazione e social, abbiamo fatto diverse mostre sul territorio. Io, personalmente, mi muovo anche oltre, Pisa, Firenze, e a ottobre un mio quadro sarà virtualmente a Barcellona.  Dopo il 20 giugno esporrò una personale alla Pasticceria Betti a Montemurlo. Il mio obiettivo è quello di farmi conoscere il più possibile, crearmi delle credenziali, un curriculum, perché se non dimostri di essere qualcuno non lo sei. Avendo dei progetti personali in mente, adesso quello che devo fare è costruire credibilità.»

Quali sono questi progetti? 

«Il mio sogno è quello di aprire una mia galleria personale. Un posto, inizialmente virtuale e poi anche fisico, dove dar voce agli altri. Per me è importante tirare fuori le emozioni e magari tante altre persone potrebbero avere la necessità o l’urgenza di farlo, anche attraverso la pittura o il colore, ma non lo sanno perché non gli è mai stata data come possibilità. E allora uno spazio fisico non servirebbe solo ad esporre le mie opere, ma anche ad attrarre altri che non si sentono in grado di esprimersi con l’arte. Questa è una cosa che va sfatata perché io per prima non mi sentivo in grado e invece eccomi qua che dipingo e progetto. Si parte dal concetto sbagliato di “dimostro quindi sono”, invece dovrebbe essere “sono quindi dimostro”. La fatica è enorme, è una lotta non solo per essere riconosciuti, ma anche per dimostrare a se stessi di essere. Il mio progetto della galleria, poi, si svilupperebbe nella direzione di aiuto alle persone, soprattutto alle donne, a fare in modo che non si considerino incapaci di una cosa solo perché non l’hanno mai fatta.»

Covid
Come Ogni Volta Involviamo Distanti – Chine su tela, 2020

Ci spieghi meglio.

«Mi piacerebbe creare un corso virtuale dove insegnare a tirare fuori quelle che sono le proprie emozioni senza pensare, prima, se sono in grado o no. Una tela immacolata, un foglio bianco, mente libera e disegnare. Quello che viene fuori è valido in qualsiasi momento, al di là di tutto, perché appartiene a te ed è quindi bello, unico e irripetibile, come lo è ogni opera d’arte. Nessuno può replicare un Davide di Michelangelo, io stessa non sono in grado di replicare un mio quadro perché è legato a un determinato momento e gruppo di emozioni. Proprio perché l’opera non è ripetibile, esattamente come tutte le persone, anche se stanno cercando di renderci tutti uguali, questa unicità potrebbe venire fuori anche nell’espressione più fisica del disegno esattamente come fanno i bambini. Senza ragionamento, senza doverci mettere una spiegazione. I bambini non pensano a quello che deve venire fuori, lo fanno e basta. Quando sono molto piccoli e lavorano con i colori disegnano quello che hanno dentro. Quello che viene fuori è bellissimo, è espressione di sé, irripetibile e appartiene a loro nella maniera più viscerale, senza condizionamenti. Recuperare un percorso del genere per gli adulti secondo me sarebbe fondamentale, un modo per ritrovare capacità che pensiamo di non avere e invece sono sommerse da anni di sovrastrutture. Anche facendo dei segni senza senso, degli scarabocchi, può venire fuori una decodificazione delle emozioni e una volta che la si vede diventa meno confusa, meno negativa, e di conseguenza curativa, come una sorta di terapia. Per me ha funzionato e può funzionare per chiunque.»

Cos’è che l’ha spinta a creare questo progetto?

«Prima di tutto la mia esperienza, poi anche due frasi alle quali sono molto legata. Una la dice Mago Merlino a Semola ne La spada nella roccia: «Quando sei triste, impara qualcosa.» Se ti fermi vieni invaso dalla tristezza, invece se fai qualcosa, soprattutto se impari qualcosa, ti arricchisci e lasci meno spazio alla tristezza. Un’altra frase che sento mia e che appartiene alla saggezza popolare, alle persone anziane, dice all’incirca: «Quando c’è un problema, lavora con le mani.» Da qui i ricami delle nonne o l’impastare, per esempio. Le mani sono direttamente collegate al cervello e sfuggono meglio al controllo del pensiero, quindi se le lasci libere poi loro ti aiutano lavorando, perché impegnando le mani il cervello si libera e si concentra su una cosa positiva che fanno le mani. Anche in questo caso si lascia meno spazio a tutto il resto, soprattutto alle emozioni negative, e i pensieri si riorganizzano. È come fermarsi un momento, riprendere fiato, ripartire cercando soluzioni razionali ai problemi.»

Dove possiamo ammirare le sue opere?

«Mi trovate sui social, Facebook, Instagram, e sul mio sito

La chiacchierata finisce lasciando in tutte e due un senso di pienezza, di chiacchierata fiume che assomiglia molto di più a uno scambio d’anime che a un’intervista. Io vi invito a visitare sito e social per vedere tutte le sue opere che sono, una dopo l’altra, espressione di Elena Brilli, del suo talento e delle emozioni che le abitano dentro.

Serena Pisaneschi

Foto in alto: Elena Brilli

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