Tu sei oncologica, vero? Francesca Masi e il suo viaggio nella malattia

Francesca Masi
Psicologa, scrittrice, comunicatrice, madre, figlia, moglie e… oncologica? Dipende, possiamo parlarne. E non solo in un libro. Riproponiamo questa intervista dal secondo numero de L’Altro Femminile.

Francesca Masi è nata a Pontedera in provincia di Pisa nel 1975. Ha una laurea in psicologia conseguita nell’anno 2000 all’Università di Padova, con una delle prime tesi in Italia sulla comunicazione online. Ha un suo studio ma ha collaborato anche con enti locali come consulente scolastica e dirigendo corsi di teatro per bambini e adolescenti e come Ufficiale Riservista per l’Esercito Italiano. Ha fondato Handling onlus, associazione no profit che fornisce servizi psicologici qualificati a persone e famiglie in situazioni di disagio economico e sociale. Nel 2016 si è ammalata di mielofibrosi idiopatica cronica. Dopo aver tenuto a bada la malattia con una terapia sperimentale, nel 2020, in piena pandemia da Covid19, la cura ha perso la sua efficacia e ha dovuto sottoporsi a un trapianto di midollo osseo, come ultimo tentativo per salvarsi la vita. Il trapianto di midollo ha una mortalità del 20% nei primi 5 anni. Nel 2018 ha pubblicato, con le edizioni Maria Margherita Bulgarini, Tu sei oncologica vero? il suo libro d’esordio ed è tutt’ora un’assidua comunicatrice sui social di contenuti che riguardano la sua malattia, e non solo.

Tu sei oncologica, vero? Non è la prima domanda dell’intervista, è solo che è iniziato tutto così, o almeno il suo libro inizia proprio così. Ce ne parli, di che si tratta?

«È il racconto del mio viaggio nella malattia, un mix tra un classico reportage di viaggio e una esplorazione introspettiva, perché la malattia ti fa camminare su due binari: quello dei fatti, della concretezza, della pratica, e quello delle emozioni, dei sentimenti. I due binari portano su terreni inesplorati che si mescolano: i corridoi degli ospedali, le visite, gli aghi, la paura di morire, il terrore di causare ferite insanabili alle persone a cui vuoi bene, la rabbia forte verso chiunque non capisca o non aiuti. Il viaggio inizia con la notizia “Tu hai il cancro” e va avanti in mezzo a vicissitudini positive e negative, che coinvolgono medici, familiari, amici. Che non finirà in tragedia lo si intuisce fin dall’inizio, ma il finale non è il classico happy end: il successo terapeutico è rimanere in vita da malata. Oggi va di moda dire “con una buonissima qualità della vita”, ma questa frase nasconde il carico di incertezza e angoscia che una diagnosi di cancro porta comunque con sé e con il quale non è facile vivere continuando a godersi i momenti belli.»

Quanto è contato per lei, Francesca Masi, scriverlo? Si era già approcciata alla scrittura, prima?

«Scriverlo, a conti fatti è stato il passaggio meno importante. Il gesto significativo è stato pubblicarlo, rendere pubblici i miei pensieri intimi, la mia propensione all’ironia, il mio definire in maniera netta la cerchia di persone (amici, medici, parenti) da tenere vicina e stretta, e il resto, da allontanare. Ha significato fare i conti con i miei valori, la mia aggressività, il tema del consenso, insomma. Scrivere è un atto che fa parte della mia vita da sempre, un gesto naturale, tanto per dirla alla Gaber, che lui l’aveva detta davvero bene. Un gesto che ha a che fare con il bisogno profondo di esprimersi e trasformare il caos dell’apparato emotivo in una rappresentazione intellegibile, per se stessi e per gli altri. Lo studio della scrittura, la tecnica, sono elementi che nella mia vita sono arrivati successivamente, per la curiosità e il desiderio di dare ai miei pensieri un vestito più raffinato.»

Pensa che i social abbiano cambiato o stiano cambiando il modo di scrivere e il modo di essere scrittori?

«Questa domanda spalanca un mondo di riflessioni, potrei esprimermi per ore stratificando concetti su concetti…. e diventando molto noiosa. I social hanno cambiato tutto e non hanno cambiato nulla: un profilo Facebook è una vetrina su una piazza, e tutti sappiamo che non sempre gli abiti esposti corrispondono poi alla merce in negozio. La scrittura di libri è sempre appartenuta a menti colte, ma anche il soldato più umile scriveva lettere, biglietti, e a volte persino manifesti politici. La differenza anche qui secondo me la fa l’accesso al piano pubblico: sono poche le persone che riescono a gestire un profilo social con la consapevolezza che quello che scrivono è destinato a essere letto e pensato da una schiera di persone, più o meno interessate a screditarti o conoscerti, o imitarti. Per essere sintetica, i social secondo me hanno creato una nuova necessità: l’acquisizione per chiunque della capacità di comunicazione pubblica. Come nel passato era necessario, per sopravvivere socialmente, essere in grado di relazionarsi con i propri simili, adesso la necessità è cambiata, si è allargata e complicata ed è diventato necessario, per sopravvivere socialmente nel XXI secolo, avere la capacità di accedere alla comunicazione pubblica, pena l’apparire tutti come i celeberrimi imbecilli di Umberto Eco.»

Quanto ha significato secondo lei il fatto di essere una psicologa, in tutta la sua vicenda personale di convivenza con la malattia?

«Il titolo di studio, e lo studio teorico che ha comportato, pochissimo. Ha contato invece molto il mio training personale, gli anni di analisi sul lettino della mia analista, quelli sì. Conoscersi, aver maturato una buona capacità di gestire le relazioni, saper mantenere la lucidità nei momenti di stress, questo ha contato tantissimo. La mia testa, allenata e formata negli anni proprio come il corpo di un atleta, è stata la mia ancora di salvezza. Il mio esistere come essere pensante anche nei momenti più difficili per il dolore fisico o psichico mi ha salvato la vita.»

francesca masi - oncologicaUna cosa che colpisce nei suoi scritti, sia in alcune parti del libro sia in alcuni suoi racconti, che ho avuto il privilegio di veder nascere e arrivare sulla carta, sia persino nei suoi post sui social, è l’ironia: è sempre stata sua compagna di vita oppure le difficoltà degli ultimi anni gliel’hanno consegnata come “arma”?

«È un atteggiamento che ho sempre avuto addosso, un dono di nascita o un’eredità familiare, faccia lei, ma dall’avvento del cancro in poi, si è allargata, ha preso campo dentro di me e soprattutto nelle relazioni con i medici. Sembrerà strano, ma conservare il sorriso durante le visite oncologiche aiuta anche chi sta dall’altra parte della scrivania a ragionare meglio, porta franchezza e sincerità nella relazione terapeutica, ed è anche un importantissimo elemento di piacevolezza in una terra, quella delle cure oncologiche, spesso buia e fredda.»

Lei è anche mamma, figlia, moglie: ci saranno sicuramente delle aree di intersezione fra la Francesca privata e la Francesca pubblica, quella che ha scritto un libro sulla sua vicenda, quella che è stata in tv, quella che ha tanti followers sui social. Come si vive tutto ciò in una famiglia che fino a qualche anno fa era immersa in una dimensione di quotidiana normalità e che poi ha dovuto affrontare un problema importante che l’ha letteralmente gettata in un mondo più “grande”?

«Ho un marito riservatissimo, che fa un mestiere riservato: è maresciallo dell’esercito. Ho un figlio invece con inclinazioni artistiche e amante del palcoscenico: adesso sta frequentando una scuola per ballerini professionisti a Venezia. Ho due genitori molto socievoli, ma poco social. Tutte queste persone sono diventate personaggi del mio libro e spesso protagonisti dei miei post, con effetto collaterale una certa notorietà nel nostro territorio. Un esempio, per capirci: mia madre non riesce a fare la spesa al supermercato in meno di un’ora e mezzo perché ogni volta la fermano una decina di persone per chiederle come sto, come va la convalescenza, o la ricetta di una torta che ho pubblicato qualche giorno prima. Hanno tutti reagito accogliendo questo come un’enorme dimostrazione di affetto, e anche una punta di orgoglio. Fortunatamente per ora gli attacchi di haters sono stati pochissimi e hanno riscontrato pochissimo consenso: la mia bolla social mi ha protetto e difeso con forza, confermandomi che dietro alla tastiera ci sono tante teste malate di protagonismo e rabbia, ma anche tante persone generose e affezionate.»

So che lei ama anche il teatro e ha tenuto dei corsi per bambini. Quanto pensa sia importante far respirare arte fin dall’infanzia? Può essere un mezzo per mitigare la continua presenza della tecnologia nella quotidianità dei nostri ragazzi?

«L’arte è uno spazio di libertà per i bambini. Di responsabilità e libertà, e di soddisfazione. Per me rappresenta il primo motore di crescita interiore, per adulti e bambini, e dovrebbe far parte della vita di chiunque. Non la considero uno strumento pedagogico o addirittura di riduzione del danno, ma uno spazio vitale indispensabile per l’acquisizione di gusto, capacità di riflessione su di sé e di confidenza con i propri sentimenti e i propri limiti. La vita, senza la bellezza, è banale dirlo, ma sarebbe solo sopravvivenza. E l’arte è il primo motore di bellezza.»

Ultima domanda, facendo un po’ un bilancio: internet, nei momenti di difficoltà è più un mostro o un’amica?

«Tra il mostro e l’amica, scelgo l’amica. E come ogni amica necessita di una fase in cui la relazione si costruisce e soprattutto non può diventare l’unico spazio di espressione di sé, o l’unico rapporto in cui cercare la felicità.»

Elena Marrassini

Foto in alto: Francesca Masi

©RIPRODUZIONE RISERVATA

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