“Un libro e …” – Figlie del mare di Mary Lynn Bracht, voci da non dimenticare

figlie del mare
Un romanzo e un podcast per riportare alla luce la storia dimenticata delle comfort women coreane, tra dolore, memoria e resistenza.

La mia proposta per questo venerdì è Figlie del mare di Mary Lynn Bracht pubblicato da Longanesi nel 2018. Avevo già consigliato questo libro in una Top Ten estiva di alcuni anni fa. Si tratta dell’opera prima di un’autrice americana, di origini coreane. Il testo ha il merito di mettere in luce una delle atrocità meno conosciute del secondo conflitto mondiale e una delle pagine più tragiche della storia coreana: le comfort women.

Durante l’occupazione giapponese e per tutta la Seconda Guerra Mondiale un numero impressionante (si parla di oltre duecentomila) donne e bambine coreane, ma anche di altre nazionalità asiatiche, furono rapite dalle loro case e costrette con la forza e la violenza a prostituirsi per l’esercito imperiale giapponese, e a diventare, per l’appunto, “donne di conforto”.

figlie del mareQuesto capitolo oscuro di schiavitù sessuale è rimasto a lungo nell’ombra, per diverse ragioni. Da un lato, per il persistente rifiuto del Giappone di riconoscere pienamente le proprie colpe storiche. Dall’altro, perché le donne sopravvissute, una volta tornate alle loro comunità, si trovavano di fronte a una società profondamente patriarcale, in cui l’onore femminile era legato rigidamente alla purezza sessuale, rendendo quasi impossibile parlare apertamente della violenza subita.

Mary Lynn Bracht ci introduce alla storia di Hana, una ragazza di sedici anni. Appartiene alla tradizione delle haenyeo, le celebri pescatrici subacquee dell’isola di Jeju. Hana è dotata della straordinaria capacità di immergersi in apnea per raccogliere frutti di mare. Questo mestiere, tramandato di madre in figlia, forgia donne forti e indipendenti, impegnate per tutta la vita in un’attività riservata esclusivamente a loro. Hana ha un’amatissima sorella minore, Emi, che, però, è ancora troppo giovane per unirsi a lei nelle immersioni.

Un giorno, mentre si trovano sulla spiaggia, Hana vede avvicinarsi un soldato giapponese. Per proteggere la sorella, si sacrifica lasciandosi catturare al posto suo. Viene così strappata alla sua famiglia e deportata in Manciuria, dove verrà costretta a diventare una comfort woman per l’esercito giapponese. Inizia per lei un calvario fatto di violenze, soprusi e tentativi di fuga, ma anche di resistenza interiore e dignità.

La scrittura del romanzo è diretta, con uno stile che lascia volutamente spazio alla forza della narrazione. Pur senza ricercare effetti letterari complessi, il racconto riesce comunque a coinvolgere profondamente il lettore, guidandolo con naturalezza dentro la storia e mantenendo alta l’attenzione fino all’ultima pagina.

Il racconto si sviluppa su due piani temporali intrecciati, seguendo le vite delle due sorelle separate dagli eventi della guerra. Da una parte c’è Hana, nel 1943, costretta a confrontarsi con la brutalità del conflitto e a lottare per non perdere la propria umanità nel mezzo dell’orrore. E poi c’è Emi, nel 2011, ormai anziana, che porta ancora il peso del senso di colpa per aver perso la sorella e intraprende un percorso alla ricerca della verità. Il suo viaggio si trasforma in un tentativo di riconciliazione con la memoria, con il dolore e con se stessa.

«Le parole hanno potere, le aveva detto una volta il padre dopo aver recitato una delle sue poesie politiche. Più parole conosci, più potente diventi. Per questo i giapponesi hanno vietato la nostra lingua madre. Limitano il nostro potere limitando le nostre parole».

Insieme al romanzo di Mary Lynn Bracht vi propongo un episodio del podcast Kimchi Taste – Un assaggio di Corea (disponibile su tutte le piattaforme streaming). Si tratta di un podcast autoprodotto da Veronica Croce, che guida l’ascoltatore in un viaggio attraverso la cultura coreana. Croce approfondisce temi che vanno dalle radici storiche del Paese alle sue espressioni più contemporanee, tra tradizioni, società e trasformazioni culturali.

In particolare, vi consiglio l’episodio cinque con il titolo Comfort Women, che dura poco più di quindici minuti. Se Figlie del mare ha catturato la vostra attenzione e ne volete sapere di più su queste donne obbligate a prostituirsi per i militari giapponesi, la mia proposta è un buon punto di partenza e una fonte di spunti per approfondire.

È così che ho saputo che, dall’8 gennaio 1992, ogni mercoledì, un gruppo di donne coreane si riunisce davanti all’Ambasciata giapponese a Seoul. Manifestano pacificamente. Tra di loro, spiccano alcune anziane sopravvissute. Nonostante il peso degli anni, continuano a chiedere al governo giapponese un riconoscimento formale e delle scuse ufficiali per le gravi ingiustizie subite oltre ottant’anni fa. Alcune di loro furono comfort women, altre sono attiviste che si battono per il riconoscimento di questo crimine efferato.

Grazie alla forza del tempo e alla determinazione di alcune donne, una verità a lungo taciuta è tornata alla luce. Nel 1991, Kim Hak-sun ha segnato una svolta storica diventando la prima donna coreana a raccontare pubblicamente la sua esperienza come comfort woman.

Grazie al podcast mi sono segnata il film I Can Speak di Kim Hyun-seok del 2017 e il documentario Because we were beautiful del 2010, che spero di vedere presto. Buon ascolto e buon fine settimana!

 

Sara Simoni

Foto in alto: statua dedicata alle comfort women (da geschichtedergegenwart.ch)

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