Angela Bruni racconta il suo corso di trucco in un collegio per non vedenti: un viaggio sensoriale verso l’autodeterminazione e la bellezza invisibile.
Essere donne è un percorso che comincia ben prima dell’età adulta. È fatto di scoperte, di insicurezze, di piccoli riti che ci avvicinano a chi siamo e a chi vogliamo diventare. Ma crescere come ragazze cieche, in un collegio per non vedenti negli anni ‘70 significava attraversare tutto questo con una consapevolezza in più: quella di vivere in un mondo che spesso dimentica il nostro sguardo.
Corso di trucco: bellezza e autodeterminazione in collegio
Eravamo una decina, adolescenti curiose, raccolte in una stanza del collegio di via Vivaio, a Milano. La stanza profumava di pulito, di crema alla rosa e fondotinta compatto. Ad accoglierci, una donna distinta e sicura, la proprietaria di una nota casa cosmetica. Non era venuta a farci un regalo – o meglio, lo era, ma non nel senso comune del termine. Era venuta a condividere. A insegnarci che prendersi cura di sé, conoscere il proprio volto, è possibile anche per chi non vede. E che farlo può essere una forma potente di autodeterminazione.
Ci spiegò fin da subito che il trucco non è una maschera, ma una scelta. Un modo per piacersi, per sentirsi parte, per conoscersi meglio attraverso il tatto, il profumo e la memoria delle mani. E noi, ragazze “particolari”, come ci definivamo allora, l’ascoltavamo con una fame nuova.
Lezioni sensoriali: imparare la mappa del viso con le mani
Cominciammo dalla base: la pulizia del viso. Lei ci insegnò a versare una piccola quantità di latte detergente sul palmo, a scaldarla tra le mani, e poi a stenderla con movimenti circolari: fronte, zigomi, mento, infine il naso. «Imparate la mappa del vostro viso» ci diceva «come se fosse un paesaggio da attraversare ogni giorno.» Seguiva la velina, da tamponare dolcemente. Niente sfregamenti: la pelle si ascolta anche così.
Ogni prodotto aveva un’etichetta in rilievo. Con la nostra Braille Dymo e un po’ di fantasia, creammo un piccolo vocabolario sensoriale: “G” per giorno, “F” per fondotinta, “O” per ombretto. Era il nostro beauty case, fatto di autonomia e desiderio.
Nella seconda lezione arrivò la crema da giorno, da stendere con delicatezza verso l’alto, «per insegnare al viso a sorridere.» Poi il fondotinta, in crema compatta: facile da dosare con la spugnetta, più gestibile del fluido. Imparammo a tamponarlo partendo dal centro del viso verso l’esterno, distribuendo il prodotto in modo uniforme, seguendo le ossa, le curve del viso, il contorno della mascella. Il segreto era toccarsi spesso, riconoscere le zone dove il prodotto era ben distribuito da quelle dove mancava.
Passammo poi agli ombretto, preferibilmente in crema: con il polpastrello, lo si preleva e lo si sfuma lungo la palpebra, seguendo la piega naturale dell’occhio. Imparammo a evitare i colori troppo brillanti o con glitter, che senza controllo visivo rischiano di essere eccessivi. Per il mascara, invece, c’era bisogno di una certa cautela: si applicava con piccoli movimenti a zig-zag, dalla radice delle ciglia verso l’alto, tenendo uno specchio davanti solo per chi poteva vedere qualcosa. Le altre usavano un cartoncino da tenere dietro le ciglia per non macchiarsi.
Ci fu spiegato perché l’eyeliner non fosse adatto a noi: la mano deve essere fermissima, e il rischio di sbagliare la linea o di farsi male con l’applicatore era troppo alto. Ma non ci sembrava una rinuncia: non ci mancava nulla. Avevamo imparato a disegnare il nostro viso con altri strumenti.
Il “salotto delle meraviglie”: trucco come crescita, identità e una bellezza invisibile
La terza lezione fu un ripasso, ma anche una festa. Alcune di noi si truccavano con più sicurezza, altre ci mettevano più tempo. Ma nessuna si sentiva esclusa. Poi, nei giorni successivi, continuammo a trovarci, di pomeriggio, nella stessa stanza che ormai ci sembrava un piccolo salotto delle meraviglie. Lì crescevamo, ci confrontavamo, e imparavamo a volerci più bene.
Da quel giorno, io cominciai a truccarmi. Anche contro il volere dei miei genitori, lo ammetto. Non era solo vanità: era identità. Oggi non uso quasi più il trucco. Ma se chiudo gli occhi – e non è solo un modo di dire – sento ancora sulla pelle il gesto lento della crema, il calore delle mani, il profumo del fondotinta. E so che da lì è partito un messaggio.
Molto è possibile. Anche senza vedere. Anzi, soprattutto così. Perché la bellezza vera, quella che ci avvicina agli altri e a noi stesse, è quella che impariamo a toccare, a sentire, a vivere con tutti i sensi. Anche – e forse di più – con quelli invisibili.
Angela Bruni
Foto in alto da Il tempo ritrovato
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Angela Bruni, fondatrice e capo redattore di Virginio Cremona Editore, è cieca dalla nascita e ha dedicato la sua vita all’insegnamento della lingua e della letteratura italiana, greca e latina. Laureata con lode all’Università Cattolica di Milano, è attiva da anni nella promozione culturale e nella scrittura, con particolare attenzione ai temi dell’inclusione e della memoria. Vive a Milano con la sua famiglia, dove continua a insegnare e a scrivere, convinta che la parola – quando è autentica – possa abbattere tutte le barriere.
veramente bellissimo…..