Pillole di femminile – Storie piccole che raccontano un mondo grande #104

festa di paese - pillole di femminile
Festa di paese. «Qualcuno, in piedi, si muove a tempo di musica, ma la pista davanti al palco è ancora inesorabilmente vuota.»

Pillole di femminile, la rubrica per riflettere su alcuni piccoli grandi temi legati alla vita di tutti i giorni. 

Le sagre estive, nella piccola piazza di un paese dell’Appennino, che d’estate si anima di turistə, sono sempre un evento e una grande occasione di ritrovo. Nell’aria l’odore di cibo è molto forte. Su tutti vince quello della “rosticciana”, il piatto tipico del Casentino a base di costine, salsicce, e scamerita, tutto rigorosamente di maiale, cotte alla brace.

Alcune persone sedute sulle panche dei tavoloni stanno già mangiando, altre aspettano chi fa la coda al banco della cucina e tengono il posto. Non mancano le bevande e il vino rosso è sicuramente quello che scorre di più. Molti presenti, incuranti della musica trasmessa dagli altoparlanti, e in attesa del gruppo che si esibirà, si scambiano saluti e chiacchiere: ragazzə con in mano una birra o uno spritz, mamme incinte o con ə piccolinə nel passeggino, bambinə che giocano e corrono tra i tavoli.

Io non partecipo spesso, preferisco la compagnia di poche persone e la tranquillità, ma questa sera nel gruppo musicale alle tastiere ci sarà, per la prima volta, il marito di un’amica. Così mi ritrovo seduta in compagnia a mangiare una panzanella. A essere sincera preferisco quella che preparo io, ma trovarla pronta, dal momento che è un piatto piuttosto laborioso, me la fa apprezzare tantissimo.

Il gruppo si avvicina al palco per le prove dei microfoni e degli strumenti. Sono molto curiosa, non ho idea di quello che proporranno musicalmente. Spero solo che mi verranno risparmiati i balli di gruppo! Il liscio, da buona romagnola, mi è sempre piaciuto, ma vedere file di persone che, come militari, eseguono passi coordinati e tutti uguali ballando hully gully, samba, macarena e pezzi di musica rock, rimaneggiata per essere adattata a queste coreografie collettive, mi mette un’incredibile tristezza.

Tutto è pronto per l’esibizione.  Il concerto ha inizio. La musica è altissima, un altro particolare che mi ricorda, nel caso non lo avessi a mente, che sto proprio invecchiando,  e si sentono le note di un pezzo dei Cranberries, poi  Amy Whinehouse, Bowie… Sto chiacchierando davanti a un bicchiere di vino rosso insieme ad amicə, fino a poco fa ero stanca e non avevo neanche tanta voglia di scendere in paese, ma a un certo punto sento salire un desiderio fortissimo di ballare. Mi guardo intorno. Qualcuno, in piedi, si muove a tempo di musica, ma la pista davanti al palco è ancora inesorabilmente vuota. Radiohead, Dire Straits… impossibile resistere. Chiedo scusa aglə amicə, mi alzo e mi dirigo sotto il palco.

Sono sola e inizio a ballare. Non è la prima volta: basta rompere il ghiaccio e qualcuno prima o poi arriva. Niente, nessuno mi segue. Sento molti occhi puntati addosso. Forse dovrei interrompere. È piuttosto sconveniente ballare così alla mia età. Mille pensieri giudicanti si affacciano alla mente, ma non mi importa. Perché dovrei seguire quella vocina interna che mi disturba? «Dai su, torna al tavolo, ti stanno guardando tutti. Sei l’unica che sta ballando. Ti stai rendendo ridicola. Non ti vergogni a dimenarti così alla tua età?»

La sento chiara quella voce, ma la musica è più forte e il mio corpo continua a danzare. Improvvisamente, dopo anni di condizionamenti e auto giudizi, sono sorda a ogni consiglio di tornare a un comportamento più serio e consono. Il mio corpo non ne vuole sapere, il mio corpo sta bene e sta facendo movimenti che in altre situazioni mi provocherebbero lancinanti dolori alla schiena. Qualcuno più giovane si avvicina, mi prende le mani per accennare qualche passo di coppia. Sorridendo accetto, ma solo per pochi secondi. Poi, sempre sorridendo, lascio i miei “cavalieri”. Io ballo da sola!

Mi è sempre piaciuto ballare, tantissimo. A casa lo faccio spesso, ma non c’è un pubblico che mi guarda e mi giudica. Chiudo gli occhi, mi sento libera: i miei anni, i miei capelli bianchi, il mio amore per la danza mi danno il diritto di continuare.

Ora, qui, sono viva, non ho un’età, non c’è nessuno intorno a me. Siamo solo io e i Muse. E sono felice. Sento il mio corpo leggerissimo e la mia voce che canta Time Is Running Out come se “non ci fosse un domani”. Mi piace molto questo modo di dire che ho sentito spesso usare daə ragazzə. Il tempo sta correndo via, mi ricorda questo pezzo. Proprio qualche giorno fa parlavo con un’amica di una persona cara che ci ha lasciato e a un certo punto, con  un po’ di amarezza e di rimpianto mi ha detto che ormai alla nostra età accumuliamo più notizie brutte di quelle belle. Sì, il tempo sta correndo via.

Ho passato la vita cercando di essere la brava bambina, la ragazza seria e posata, la donna impegnata, attenta, responsabile, in una parola adeguata. Non sempre ci sono riuscita, lo so. Comunque, come cantava Edith Piaf, Je ne regrette rien, non rimpiango nulla. Ho fatto tutto quello che ho potuto e sono stata in grado di fare nonostante limitazioni, condizionamenti e paure. Ma questa mia età “grande” è una bellissima e preziosa conquista!

Alla festa, qualche sera fa, ho sentito cosa vuol dire lasciarsi andare, sentirsi vivere la vita così com’è in quel momento, incurante del frastuono, delle persone e dei giudizi. Non so, come del resto nessuno, se vivrò ancora un giorno, tre mesi o quindici anni, ma il senso di libertà e la pienezza della mia vitalità che ho toccato quella sera me li porto dentro.  E la cosa straordinaria è che si vede anche da fuori: il mio viso è più rilassato e sorridente, le articolazioni più sciolte e la schiena un po’ acciaccata, ma soddisfatta e divertita … basta poco, alle volte. Basta lasciarsi andare e vivere!

Serena Betti

Foto in alto: Elaborazione grafica di Erna Corsi

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