Pillole di femminile – Storie piccole che raccontano un mondo grande #98

Tratto da La figlia cattiva, romanzo coraggioso, a tratti crudele, sul complesso rapporto madre-figlia scritto da Carla Cerati.

Pillole di femminile, la rubrica per riflettere su alcuni grandi temi legati alla vita di tutti i giorni.

Rivedo mia madre accanto al letto mostrarmi l’uso del pannolino della cintura di sostegno come oggi uno steward mostra l’uso del corsetto gonfiabile da usare in caso di incidente aereo; di diverso c’è il suo imbarazzo, tanto palese da mettermi a disagio. Aspettavo solo che se ne andasse. Forse era giunta a quel momento impreparata quanto me, e la scuso oggi che conosco la sua vita, ma egualmente mi dico che il suo sguardo doveva essere ben distratto per non aver notato in me nessun segno premonitore.

Donna precisa e metodica scrisse sul calendario la data di quella prima mestruazione; quando qualche mese dopo, saltai il ciclo, si lasciò prendere dal panico. Quel giorno, che ricordo come uno dei più spiacevoli della mia vita, la sentii discutere con Santina; poi con voce concitata mi ordinò: «Vieni immediatamente». Il suo tono mi costrinse sulla difensiva, mi appoggiai alla parete accanto al calendario che lei mi mostrava, accusatoria: «Non hai avuto le mestruazioni!». Avevo alzato le spalle. «Tanto meglio, sono una seccatura.» E lei, incalzante: «Non far finta di non capire, che cosa hai fatto?»

Mi rivedo ancora, monella delle ginocchia sbucciate, spalle al muro, sospettata di qualcosa che non capivo e di cui non conoscevo l’esistenza; proprio per questo l’accusa mi offendeva. Come sempre quando mi sentivo sgridata senza motivo assunsi un tono arrogante: «Non ho fatto niente!»
Santina era insorta a difendermi: «Lasciala stare, è una bambina, non vedi che non sa neanche di che cosa stai parlando?» Mia madre si era alterata ancor di più: «Ha capito benissimo, per questo è così strafottente». Stava sopra di me con lo sguardo pieno di furia e disperazione assieme; mi sembrò che cercasse le parole e infine riuscì ad articolare: «Sei stata… con… un uomo?»

Avevo sempre schivato con sdegno i gruppetti che si formavano negli angoli del cortile di scuola durante la ricreazione, le risatine eccitate, le frasi mozze sussurrate, quel che di morboso che intuivo nei discorsi delle compagne, quasi che un’istintiva di dignità mi facesse rifiutare quello scambio furtivo di informazioni. Su quel mistero che gli adulti si preoccupavano di nascondermi anch’io di tanto in tanto facevo delle ipotesi, ma talmente lontane dalla realtà che la domanda di mia madre mi lasciò senza parole. Lei mi scuoteva insistendo con la voce resa gutturale dall’ansia ma io restavo la labbra serrate, sempre più offesa.
«Chiamo subito il medico, la faccio visitare.»

Il medico mi apparve come una figura oscuramente minacciosa; senza togliersi né cappotto né cappello mi intimò di sdraiarmi sul letto e allargare le gambe. Nelle sue mani fredde e sgarbate, nel feltro scuro che gli nascondeva il viso, vivevo una violenza che mi chiudeva in una ribellione senza sbocco. Lo sentii dire alla mamma: «Si tranquillizzi, è vergine. Non era il caso di drammatizzare, in questa prima fase dello sviluppo il salto di un ciclo è frequente.»
Per lo spavento mia madre ebbe una colica che la costrinse a letto per tre giorni. Io, chiusa in un mutismo rancoroso, non domandai mai sue notizie. In un tentativo di mediazione mio padre mi mandò a portarle una tazza di brodo che misi sul tavolino senza degnare la mamma di una parola o di uno sguardo. Fu allora che le sentì di dire per la prima volta: «Quella bambina ha un cuore di pietra. Sono stata male per colpa sua e lei non mi parla neppure».

Da quel tempo è passata quasi una vita ma non sono mai riuscita a seppellire il ricordo di quell’episodio né a vederlo con ironia e distacco. Ancora oggi continua a sorprendermi la sua ignoranza di allora e soprattutto la sua insensibilità verso la bambina che ero. Con lei non ne ho mai parlato, non so quindi se si sia resa conto di avermi ferita trattandomi d’improvviso e dopo tanti misteri con una donna navigata e bugiarda e buttandomi a gambe aperte tra le mani di uno sconosciuto che non aveva avuto per me una parola gentile.

Serena Betti

Foto in alto: elaborazione grafica di Erna Corsi

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