Cruda e disturbante, ma umana e commovente. Viaggio nella psiche di due personaggi imperfetti e tormentati che non vi lascerà indifferenti.
Una storia vera e “coi numeri”, come si suole dire, Baby Reindeer di Richard Gadd: numeri comici, numero di volte in cui si ride e si piange guardandola, numeri di recensioni da ogni dove, numeri da prima serie in classifica tra le più viste di questa primavera.
Creata e interpretata da Richard Gadd, ispirata a fatti realmente accaduti a lui stesso. Beh, più autofiction di così si muore. E infatti si muore, di rabbia, di tenerezza, di incredulità e curiosità in questa mini serie Netflix di soli sette episodi. Poi si rinasce. E poi si resta sospesi.
Una cosa su tante mi ha colpita: la visione di questa succulenta pillola di disagio a due ballato in un tango ansiogeno fra vittima e aguzzina induce a provare tenerezza quasi più spesso per la seconda che per la prima.
In fondo la carnefice è morbida, rosa, con un sorriso da bambina. E malata di mente, poverina. Invece la vittima è maschio, efebico nella sua magrezza e combattuto fra l’autosabotaggio e la brama di successo e pare proprio che “se le vada a cercare”, spinto dal suo traballante narcisismo mascherato da ingenuità.
Non ce la raccontiamo, è questa la prima sensazione che ci pervade almeno fino ai primi tre episodi di Baby Reindeer: lei è malata e alterna cattiveria pura a dolcezza ma lui, almeno inizialmente, ci appare talmente stupido e sprovveduto da far rabbia.
Poi c’è chi ha mollato lì la visione degli episodi ed è corso a scriverne, perché come esimersi dallo scrivere per primi la propria opinione sulla serie del momento, e chi ha continuato per vedere dove sarebbe andata a parare.
E infatti eccomi qua a scriverne, come al solito in ritardo dallo scoppio del “caso piccola renna” perché, come per i film sul grande schermo, io alle serie tv devo starci insieme almeno una settimana dopo averne visto il finale. In questo caso il finale geniale.
La serie è arrivata al vertice della classifica delle più viste senza bombardamenti pubblicitari, solo grazie al tam tam degli spettatori. La potenza e la velocità del passaparola: sempre più spesso garanzia di eco mediatico e fama più o meno breve.
Lo sa bene anche il protagonista di questa storia vera, il Donny in cerca di successo come stand-up comedian, che si guadagna lo stipendio lavorando in un pub come sottoposto (in tutti i sensi: ha dei colleghi gretti ed egoisti) e che quando incontra un produttore che lo osanna e lo ricopre di attenzioni e promesse e inizia a parlare di lui in giro, gli si dona senza riserve.
Verrà trascinato in una spirale di droga e abusi, con la mente annebbiata dalle sostanze psicoattive. Ma durante i ripetuti incontri con il suo aguzzino, la sua inconsapevolezza svanirà del tutto.
Donny però continua lo stesso, va avanti, esattamente come fa con lui la sua stalker “preferita”, Martha, conosciuta durante le tediose ore di lavoro dietro il bancone del pub.
Per farlo arrivare alla piena consapevolezza infatti gli serve lei, Martha (Jessica Gunning). Lei grossa e lui magrissimo, entrambi belli nel loro modo unico. Lei di una tenerezza e una cattiveria che si compenetrano, una bimba rosa con due bignè al posto dei gomiti e una risata che conquista, lusinga, angoscia.
Lei che da subito lo chiama “piccola renna” (baby reindeer) e lui che non le chiede mai il perché, evidentemente sempre concentrato su altro, dettaglio non da poco questo, direi. Due disagi che si incontrano e si scontrano attraverso l’insicurezza di lui e la patologia di lei.
Ottimo attore lui, nel ruolo di se stesso, superlativa attrice lei. Immersa in dialoghi a tratti esilaranti e a tratti commoventi, si snoda questa storia di tesa follia fra la vittima e la sua aguzzina, in una specie di sindrome di Stoccolma che viene spaccata come coccio sul finale.
Un finale che tenta di spiegare molto, e forse ci riesce, lasciandoci addosso un po’ di consapevolezza in più e, forse, anche la parafrasi di un famoso proverbio: Chi è “causa” del (protrarsi del) suo male non pianga se stesso. Anzi sì, pianga come il coraggioso Donny/Richard Gadd, e provi a rinascere, ammesso che gli riesca.
«Mi sono sempre fatta delle domande: perché le persone si incontrano? Perché le persone si innamorano? Questo genere di cose. Se ci penso questo è collegato alla storia della piccola renna, che forse non ti sei mai spiegato. In pratica quando ero bambina, avevo questo piccolo peluche, lo portavo sempre con me; è il primo ricordo che ho, era il periodo natalizio. C’è una vecchia foto in cui sono seduta con un cappello di carta sulla testa e c’è una piccola renna accanto a me. Comunque, questa renna era così morbida, e soffice, aveva grandi labbra, occhi enormi, e il più bel culetto del mondo. Ce l’ho ancora oggi… era l’unica cosa bella della mia infanzia. La abbracciavo mentre i miei litigavano. Litigavano spesso, sai? Beh, tu sei identico a quella renna. Stesso naso, stessi occhi, stesso bel culetto… È molto importante per me, tu… tu sei molto importante per me. Ora ti devo lasciare.»
Foto in alto: Baby Reindeer, Richard Gadd e Jessica Gunning
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