Pillole di Femminile – Storie piccole che raccontano un mondo grande #81

pillole di femminile - luisa patta
«E mentre le soddisfazioni professionali ritornano, la cristalleria della certezza di essere una madre sempre presente – dogma in cui ha fatto crescere sua figlia finora – inizia a tremare.»

Pillole di femminile, la rubrica per riflettere su alcuni piccoli grandi temi legati alla vita di tutti i giorni.
Con grande piacere pubblichiamo “Non muore nessuno” il racconto con il quale Luisa Patta ha partecipato alla nostra prima call del 2024.

NON MUORE NESSUNO di Luisa Patta

«Questa bambina sta soffrendo molto!» si sente dire Claudia con tono penoso dall’insegnante, mentre sua figlia si stringe forte alle sue gambe, non lasciandola andare via. Si erano appena riviste, la sera prima, dopo una settimana di assenza da casa. Claudia si sente in affanno perché sa che avrebbe già dovuto essere in ufficio e invece è pietrificata sulla porta della scuola di sua figlia, dal senso di colpa che ormai è diventato un bagaglio genetico: il senso di colpa materno.

La crepa nella vita di Claudia si è aperta nel momento in cui ha creduto di poter tornare a pieno ritmo al lavoro, nell’attimo in cui ha ceduto alle lusinghe del desiderio di riprendere a viaggiare, come il suo lavoro richiede e come ha sempre fatto prima di diventare madre. Da qualche mese ha ricominciato ad accettare brevi incarichi all’estero che la stanno riportando nel vivo del suo lavoro, di cui negli ultimi anni ha sentito molto la mancanza. E mentre le soddisfazioni professionali ritornano, la cristalleria della certezza di essere una madre sempre presente – dogma in cui ha fatto crescere sua figlia finora – inizia a tremare.

Sposta i piedi in avanti, avvertendo la fatica nelle gambe. Il pensiero è fermo sulle parole: l’insegnante ha sentito la necessità di dirle che sua figlia sta soffrendo, di scandirlo a chiare lettere, anche se lei ci era già arrivata benissimo da sola. Come da sola era arrivata a comprendere di esserne la causa.
Raggiunge il cancello, esce dalla scuola immergendosi nella quotidiana giungla del giudizio.

Claudia cerca rifugio nel ritmo cadenzato dei suoi passi verso il parcheggio. Osserva i passanti: il ragazzo impegnato nello scarico delle carni di fronte alla macelleria, l’anziano in attesa alla fermata degli autobus, l’esercito delle madri trottanti avanti e indietro da scuola. Non si guardano, tra loro, le mamme. Ognuna corre per il proprio binario. Ma Claudia sente gli occhi addosso.

Tutti sanno della sofferenza di sua figlia, ne è certa. Tutti le stanno prendendo la misura della sua inadeguatezza a essere madre, della sua voglia di realizzazione personale che la porta a mettere il suo lavoro prima della felicità di sua figlia. Questa bambina sta soffrendo molto, lo vedono tutti.

Claudia non riesce a raggiungere l’auto e si siede sotto la pensilina della fermata dei bus. Ne vede passare diversi, le linee che portano in città sono molte di mattina. Potrebbe prendere l’autobus, oggi, per andare al lavoro. Così, per fare una cosa diversa. Per uscire dallo schema. Per improvvisare. Potrebbe non andare al lavoro, oggi.

Che pensiero folle! Sussulta, non appena si accorge di averlo formulato. Lei ama il suo lavoro, perché non andare? E se decidesse di non andare al lavoro, perché non tornare indietro da sua figlia e passare la giornata con lei? Sarebbe un buon modo per rassicurarla, pensa.
Del resto, sono ancora nella sua mente le sue lacrime di disperazione all’ingresso della scuola. La presa forte delle sue piccole mani sui suoi jeans.

Cinque anni fa non avrebbe mai pensato di diventare madre, poi è successo. Uno sliding doors, Claudia ha sempre definito così il suo incontro con la maternità. Quel momento in cui ci sono due possibilità che porteranno la tua storia di vita in due direzioni molto diverse e, per un caso, se ne imbocca una a discapito di un’altra.

Cinque anni prima stava per accettare un lavoro a Città del Messico, arrivato dopo tanta gavetta. Ma a qualche ora dalla fatidica firma del contratto, durante un brunch con il capo, un banale ritardo le fa fare un test di gravidanza nel bagno di un locale. Lo fa così, per sicurezza, per imbarcarsi in questa nuova avventura senza pensieri. Per partire serena.
Claudia non firmerà mai quel contratto e il biglietto per il Messico andrà al suo collega d’ufficio: maschio, scapolo, carismatico, meno competente, più disponibile.

Davanti agli autobus che si ripetono, alle vite che salgono e che scendono, Claudia decide di dirottare gli eventi della sua vita, di tornare a cinque anni prima. Prima del test di gravidanza, prima del brunch, prima della proposta di lavoro. Non torna indietro da sua figlia, non raggiunge la scaletta degli impegni in ufficio, non dà spiegazioni a nessuno. Spegne il telefono e parte. Stavolta per sé.

La brezza del mare la raggiunge ancora prima di scendere dall’autobus. Ha aperto il finestrino molti chilometri fa, rassicurata dal fatto che il vento non potesse disturbare nessuno perché, passate le fermate cittadine, sull’autobus è rimasta da sola. Prima di vederli scendere, Claudia aveva osservato a lungo i suoi compagni di viaggio, scoprendo che forse lì non tutti potessero sapere che sua figlia stava soffrendo molto per causa sua.
Forse lì Claudia è al sicuro.

Scende i gradini dell’autobus e subito scorge l’asfalto macchiato dalla sabbia. Le raffiche di vento delle ultime ore l’avevano portata fino a lì. Un tappeto di benvenuto, l’invito a una festa.
Incedibile come non si sia mai concessa un giorno da sola al mare, negli ultimi cinque anni. Non è neanche lontano, il mare, da casa sua. Ma tutto appare irraggiungibile quando non sai dov’è, quando non ritrovi la strada. Anche ciò che hai davanti agli occhi perde i contorni, scompare.

Essere madre le ha creato una certa miopia, se ne rende conto ora. E aggiustare la vista non è lavoro degli occhi, in certi casi. E neanche della mente. È lavoro del cuore.
Si porta in fretta sulla spiaggia, percorrendo un sentiero in mezzo alla pineta. In quel punto, la costa è deserta e assolata. Sono le undici e cinquanta di un martedì mattina di primavera e nessuno sta osservando quello che sta osservando lei.

È sola. Non ci sono sua figlia e la sua grande sofferenza. Non c’è il lavoro, non ci sono le scadenze, nessuna notifica in nessuno schermo. Claudia ha chiuso il mondo dietro le porte di quell’autobus.

«Perché non posso essere ciò che sono senza sentirmi in colpa? Uscire dagli schemi, dai ruoli, dalle responsabilità? Quante volte avrei potuto venire qui… perché non l’ho mai fatto? Perché mi devo sentire colpevole a fare qualcosa solo per me?» La voce di Claudia si perde, non c’è nessuno ad ascoltarla.

«Qui, ora, sono solo Claudia.»
Si abbassa fino a toccare l’acqua, gli schizzi di un’onda la raggiungono e le bagnano le scarpe. Le scappa da ridere, immaginando i richiami di sua madre, quand’era bambina: «Non ti avvicinare troppo all’acqua, che poi ti bagni!»
«E se lo volessi?» Si interroga, in quel silenzio senza risposta.

Sfila le scarpe bagnate. Via i divieti di sua madre.
Toglie i calzini. Via il giudizio, gli sguardi dell’insegnante e dei passanti che sanno o pensano di sapere.
Si abbassa i jeans, già bagnati sul fondo. Li fa scivolare fino ai piedi e fa un passo fuori. Via i confini dettati dagli altri.

Ora toglie la giacca. Via le scadenze, via i lavori che reputi inderogabili.
Sbottona la camicia, inizia a percepire il sole di mezzogiorno sulla scollatura nuda. Via l’inadeguatezza, la vergogna di non essere abbastanza.
La canottiera è leggermente sudata, sfila anche quella. Via il senso di colpa, che si attacca addosso come una seconda pelle.

Non le resta che un reggiseno bianco e uno slip nero, indossati al buio per non svegliare nessuno, prima che il giorno inizi anche per gli altri. Via il resto del mondo, via il sentirsi insostituibile e indispensabile.

«Non muore nessuno», pronuncia scontrandosi con le prime onde. «Non muore nessuno», si ripete, avanzando fino a non toccare più, nell’acqua ancora fredda d’aprile.
«Non muore nessuno. Via tutto, oggi vivo io.»

Luisa Patta - LAltro Femminile
Luisa Patta

Luisa Patta nasce a Perugia nel 1985, è laureata in Scienze dell’Educazione e svolge la professione di educatrice d’infanzia a Siena. Ama scrivere racconti. Nel 2022 esordisce con Umane traiettorie. Percorsi dentro di sé e oltre di sé (BookTribu), a cui fa seguito Controcanto di Natale nel 2023. È tra le autrici del blog Api Furibonde e scrive anche per bambinə in collaborazione con ICWA, di cui è socia dal 2022.

In alto: elaborazione grafica di Erna Corsi

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2 commenti su “Pillole di Femminile – Storie piccole che raccontano un mondo grande #81”

  1. Daniela Carmen Mainardi

    Le parole di Luisa sono profonde, incisive, ti toccano dentro, sfiorano quelle corde che spesso tutte noi mettiamo a tacere.
    È una domenica mattina come tante e ora uscirò da sola per fare una passeggiata, tanto non muore nessuno…

    1. Grazie, Daniela. Scrivere, spesso, è un ponte oltre il consueto. O anche solo un passo per spostarci da qui. Sono felice che le mie parole abbiano prodotto un movimento. Buona passeggiata e goditi questa domenica, tanto non muore nessuno. ❤️

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