Serena Spinelli, la donna “frizzantina” della politica toscana

Serena Spinelli

Intervista sul femminile all’assessora regionale per politiche sociali, edilizia residenziale e cooperazione internazionale e medico pediatra.

Ho conosciuto Serena Spinelli lo scorso 9 ottobre all’incontro di inaugurazione del Sal8 delle donne al Circolo Arci Il Girone. È stata un’occasione interessante caratterizzata da un vivace dibattito con il pubblico intervenuto. Purtroppo il tempo è tiranno e non è bastato a farle tutte le domande che avrei voluto. Abbiamo quindi concordato di risentirci per un’intervista. Serena Spinelli si è impegnata fin da giovanissima nel volontariato e in politica, oggi è assessora regionale della Toscana per politiche sociali, edilizia residenziale e cooperazione internazionale ed è pediatra.

Talvolta le donne che occupano posizioni sociali prestigiose vengono chiamate con il nome di battesimo, viene omesso il loro titolo di studio o diventano semplicemente “signorine”. Cosa pensa quando qualcuno le si rivolge in modo confidenziale?

«Dipende da quando mi si rivolge in tono confidenziale. Se lo fa la prima volta che ci vediamo e si sente subito legittimato a dare una confidenza che va oltre il ruolo, non lo gradisco. Quando invece il chiamarti in modo confidenziale fa parte della costruzione di un rapporto di lavoro e di collaborazione e viene stabilito di superare le formalità perché stiamo collaborando allora è diverso. Il tema è sempre il quando ci si sente autorizzati a farlo immediatamente come se, essendo io donna, l’altro possa permettersi una confidenzialità senza che ci sia stata la costruzione di una relazione che in qualche modo la autorizzi. Quando capita è spiacevole, viene in effetti da domandarsi: se io fossi un uomo si sentirebbe già così libero? Devo dire che succede sempre meno. Spesso sono io a farmi chiamare per nome ma occorre anche il rispetto per il ruolo. Io non rappresento solo me stessa ma, nel mio caso, la Regione e ritengo che questo sia giusto riconoscerlo sia da parte mia che da parte dei miei interlocutori.»

Nella sua carriera medica e politica ha incontrato ostacoli o pregiudizi in quanto donna?

«Veri e propri ostacoli direi di no, talvolta ho avuto la sensazione di un minore ascolto, il tentativo di tagliare un mio intervento, un modo un po’ sbrigativo nel trattarmi. Devo dire che queste situazioni capitano, non nei contesti istituzionali dove l’ascolto è garantito, ma altrove succede. In ambiente ospedaliero invece accade che venga preso più in considerazione il parere del collega uomo.  In contesto politico mi è capitato di sentirmi dire che ero un po’ troppo “frizzantina” perché quando una donna si scalda e magari alza la voce è considerata un po’ isterica. C’è un non detto che, soprattutto se ti ritrovi in una riunione con tutti uomini, talvolta si percepisce. Personalmente non è una cosa che mi crea disagio però ti rendi conto che c’è ancora della strada da fare.»

Su questa tematica ha riscontrato differenze fra i due ambienti lavorativi?

«Non direi, credo di aver riscontrato gli stessi meccanismi in entrambi in ruoli. In medicina e soprattutto in pediatria il mondo sta molto cambiando. Oggi ci sono tante più donne che scelgono questa professione. Un tempo non si vedevano donne chirurgo anche a causa degli orari di lavoro, per la reperibilità notturna e il lungo percorso di studi. Prima le donne sceglievano strade diverse per poter conciliare la professione con la famiglia, ora invece sono in forte aumento. C’è però ancora quell’aspetto culturale che ci è stato inculcato che siamo donne e madri e che dobbiamo riuscire a fare tutto. Talvolta siamo noi stesse che assumiamo questo ruolo di non poter essere sostituite in ambito familiare, questo credo sia frustrante per noi e comodo per gli uomini, che si sentono poi autorizzati a non fare o non condividere certi carichi familiari.  Nel mondo politico le donne fanno ancora molta fatica a esserci e a uscire dagli stereotipi: se sei vestita in un certo modo è perché vuoi essere provocante. C’è un equilibrio difficile da trovare fra la tua competenza e autorevolezza e il vestito che indossi.»

Serena Spinelli
Serena Spinelli

Nell’organigramma della Regione Toscana leggiamo “assessora Serena Spinelli”. La declinazione al femminile delle professioni è un tema molto sentito in questi ultimi anni, cosa ne pensa?

«Non avevo mai fatto molta attenzione a questo aspetto, anche perché nella professione medica mi chiamavano dottoressa, che è un termine normalmente accettato. La declinazione al femminile è permessa dalla lingua italiana, diventa normale con l’uso, non vedo perché non usarla e quindi preferisco mi si chiami assessora. Siamo in una fase storica in cui occorre che il cambiamento culturale degli stereotipi di genere passi anche da un riconoscimento di ruolo, che non può essere declinato al maschile se io sono donna e, in quanto tale, ricopro questo ruolo.»

L’introduzione delle quote rosa una decina di anni fa suscitò un acceso dibattito fra favorevoli e contrari. A distanza di tempo cosa ne pensa di questo strumento?

«Le quote rosa un po’ ci hanno protetto, almeno siamo nelle liste elettorali e nelle giunte. Mi preoccupa invece che, una volta nella lista, se non sei altrettanto radicata sul territorio, non sei parte di un percorso, non ti sei già affermata o non vieni scelta da un supporto politico non hai possibilità reali. Credo che la presenza delle donne nelle istituzioni debba esserci perché siamo parte dei processi sociali e dobbiamo esserlo anche nel dibattito politico in maniera reale. Le quote rosa non possono essere una sorta di protezione dei panda. Dovrebbero essere superate, ma soltanto perché abbiamo la certezza che poi le donne ci sono davvero.»

Pensa che le donne abbiano un modo diverso di interpretare la politica?

«Sì, o quanto meno dobbiamo pretendere di averlo, dobbiamo portare noi stesse nella politica, il nostro modo di interpretare i processi, le risposte e dovremmo avere il coraggio di farlo. Dovremmo provare a rendere certi stereotipi che ci hanno inculcato per il loro valore aggiunto. Quando mi misuro con le mie scelte politiche mi viene inevitabile da pensare quale impatto hanno sulla vita di una famiglia e di una donna. La chiusura dei servizi durante il lockdown non è stata neutra, in modo particolare per le donne. La dimensione del nostro vivere come donne è qualcosa che va portato nelle nostre scelte. Non intendo che dobbiamo farlo perché siamo più sensibili o perché siamo materne come talvolta si sente dire. Credo piuttosto che dobbiamo pretendere il riconoscimento del valore della diversità, che è il meccanismo per provare a fare meglio le cose.»

Se potesse chiedere a Babbo Natale un solo regalo per tutte le donne, quale sceglierebbe?

«Vorrei che le donne acquisissero la possibilità di sentirsi libere di fare le loro scelte, di non dover rispondere delle scelte che fanno sulla base di condizionamenti o stereotipi culturali. Che possano decidere di fare le casalinghe o le astronaute, di fare carriera o di non farla, di avere figli o non averne, se lo ritengono giusto. Sentirsi libere senza avere sempre addosso un giudizio etico e morale che è una grossa impronta patriarcale. Quando saremo a quel punto credo che si sentiranno più liberi anche gli uomini, che sono anche loro condannati in un ruolo di virilità, di forza e di prestazione che non so quanto li faccia star bene. Forse le pari opportunità si raggiungeranno nel momento in cui ognuno si sentirà davvero libero di aver fatto le scelte che voleva fare nel rispetto delle libertà altrui.»

Ringraziamo la dottoressa Serena Spinelli per il prezioso tempo che ci ha dedicato, per la disponibilità e cortesia dimostrate che ci hanno permesso di avvicinarci a un mondo politico, che talvolta appare distante ma con il quale crediamo che uno scambio reciproco non possa rappresentare altro che un grande valore aggiunto.

Paola Giannò

Foto in alto: Serena Spinelli

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