Hejira di Joni Mitchell: lasciare il sogno, senza colpa

hejira
L’album del 1976 della cantautrice canadese rivela una sensibilità diversa dal passato e la voglia di superare ogni stereotipo musicale.

Hejira in italiano si traduce con “egira”, ovvero l’abbandono della Mecca da parte di Maometto e il suo trasferimento a Medina nel settembre del 622 d.C. (anno iniziale della cronologia islamica). L’origine del termine è ovviamente araba e Joni ha specificato apertamente che per lei significa «fuggir via da qualcosa in maniera onorevole», «lasciare il sogno, senza colpa».

Hejira infatti è stato composto a chitarra mentre l’autrice canadese era in viaggio di ritorno verso la California dal Maine nel 1975. Anche per questo motivo, a differenza di altri lavori della Mitchell, non sono previsti lavori per pianoforte. Questo album a metà tra rock, folk, blues e con una punta di jazz esce nel novembre del 1976 e conquista la certificazione di disco d’oro dalla RIAA (Recording Industry Association of America) già il 23 dicembre 1976.

Inutile dire che si parla di viaggio, concretamente e ovviamente a livello interiore. In un momento di solitudine l’artista riflette su se stessa e sulla sua capacità di amare in una sorta di flusso di coscienza musicale, melodico, ritmato e dalle punte jazzate. Hejira è concepito in un’età matura della compositrice (intorno ai trent’anni) ed è finalmente spogliato da tutti gli estremi hippy dei primi lavori. I sentimenti sono ancora importanti ma più dosati e in un’esistenza equilibrata.

Importanti, in questo lavoro, sono le collaborazioni. Tra tutte quella con il bassista Jaco Pastorius che, unico tra una serie di bassisti che si sono cimentati nelle opere di Mitchell, riesce a inserirsi con armonia e senza spadroneggiare nel mood del lavoro regalandoci note azzeccatissime e quel tocco, non eccessivo, di jazz che comincia proprio ora a far parte del panorama musicale di Joni. All’armonica a bocca abbiamo nientemeno che Neil Young.

Tra tutti i testi la fa da padrone proprio il brano Hejira, che dura sei minuti e trentacinque secondi, vero capolavoro che oltrepassa spazio e tempo e che ci accompagna tutt’oggi, a distanza di quasi 50 anni, con la freschezza che solo i capolavori sanno avere. Ogni testo meriterebbe una spiegazione, ma il consiglio è quello di ascoltarli uno a uno, assolutamente nell’ordine in cui sono stati pensati, perché il viaggio si svolge proprio in quell’ordine.

Joni Mitchell, nome d’arte per Roberta Joan Anderson, ha una storia complicata alle spalle. A nove ani infatti contrae la poliomielite da cui guarisce miracolosamente grazie alla propria determinazione e le amorevoli cure della madre. Joni, attribuisce proprio a questo evento il grande senso artistico che segna la propria carriera. La sua produzione totale è di ventotto album tra cui due live e sette raccolte.

Tra i tanti riconoscimenti ottiene la più alta onorificenza concessa dal Canada, la “Compagna dell’Ordine del Canada”, da cui si legge: «Joni Mitchell è una delle più autorevoli cantautrici della sua generazione. Folk, pop, rock, jazz e world beat: li ha abbracciati tutti e fatti propri. Dalle caffetterie di Yorkville alle tappe internazionali e agli album d’oro, Junos, Grammys e Hall of Fame, ha impegnato e ispirato pubblico e musicisti per circa 40 anni. Ha oltrepassato i confini musicali e ne ha creati di nuovi da attraversare. Il suo stile indipendente è stato emulato da molti artisti famosi e ha aperto la strada alle giovani cantanti di oggi. La sua musica e i suoi testi sono diventati parte della nostra memoria collettiva. Ampiamente rispettata anche come artista visiva e poetessa, continua ad aggiungere all’eredità creativa intrecciata indelebilmente nel nostro mosaico culturale».

Laura Massera

Foto in alto: Joni Mitchell dalla cover dell’album Hejira

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