La pillola di oggi è un racconto di Manrico Scarpelli “Compagnia”: ribaltamento di stereotipi in riva al mare.
Pillole di femminile, la rubrica per riflettere su alcuni piccoli grandi temi legati alla vita di tutti i giorni.
COMPAGNIA di Manrico Scarpelli
Maurizio aveva parcheggiato la moto sulla discesa che portava al moletto. Nonostante la bella domenica di sole, non c’era molta gente, non ancora almeno. Sulla banchina del porticciolo alcuni ragazzi stavano gonfiando i SUP e si spalmavano la crema sulle spalle. Sdraiata sul cemento c’era solo una coppia di mezza età. L’uomo si era infilato una muta da nuoto e si era legato in vita la sagola con una piccola boa colorata. Poi era entrato in acqua e si era allontanato verso l’uscita del porticciolo.
Maurizio aveva visto la borsa di sua moglie, con l’accappatoio steso sopra, assieme all’altra borsa dell’amica che era andata a nuotare con lei. Era da un po’ che si erano tuffate, avevano detto si sarebbero tuffate per le dieci e trenta e sarebbero rimaste in acqua per un’ora, un’ora e mezzo circa, questo era il tempo che dedicavano al nuoto in acque libere i fine settimana che faceva bello, il tempo di percorrere almeno un paio di chilometri tra andata e ritorno.
Il sole era caldo e Maurizio si era tolto la giacca da moto e l’aveva poggiata sopra le borse delle nuotatrici. Poi si era seduto sul bordo del moletto a guardare il mare. I ragazzi stavano mettendo i SUP in acqua e si apprestavano a prendere il largo. In costume, senza mute o magliette. A vent’anni è così, pensò Maurizio.
La donna era arrivata e aveva appoggiato le sue cose all’inizio del moletto. Bionda, il viso molto truccato. Maurizio l’aveva vista sfilarsi il vestito a fiori e ripiegarlo con cura sopra l’asciugamano. Si era tolta il reggiseno e si era messa la parte sopra del bikini. Poi si era sfilata le mutandine, senza fretta e senza ostentazione, aveva indossato lo slip del costume ed era entrata in acqua. Si era messa a camminare piano, l’acqua fino a sopra il petto, senza bagnarsi la faccia e i capelli. Forse è straniera, tedesca o comunque del nord Europa, aveva pensato Maurizio, l’aveva visto fare a loro, qualche volta, cambiarsi sulla spiaggia senza neanche un pareo intorno ai fianchi o un vestito lungo a coprirsi un po’, senza acrobazie per sfilare e infilare le mutande, non cadere e non farsi vedere.
In quel punto gli scogli non degradano subito e si tocca. La donna era avanzata lentamente, le braccia larghe, ed era arrivata vicina a dove era seduto Maurizio.
«Vieni a fare il bagno?», aveva chiesto la donna, guardando nella sua direzione. Maurizio si era voltato per vedere se c’era qualcuno alle sue spalle ma sul moletto c’era solo la compagna dell’uomo con la muta, stesa al sole, forse assopita.
«Allora, lo fai il bagno?»
«Ma, dice a me?», aveva risposto Maurizio.
«Sì, dico a te.»
«Io, no, no, grazie.” Gli era venuto da ringraziare.
«Dai, spogliati e vieni in acqua. Non hai caldo, tutto vestito di nero, poi. Lo sai che al mare ci si veste di blu.»
«…»
«Se non hai il costume te lo presto io. Oppure ti spogli nudo e fai il bagno con me. Poi andiamo a mangiare insieme. Ci vieni a mangiare qualcosa con me?»
«No, davvero, grazie. Molto gentile, ma no» Maurizio iniziava a essere imbarazzato.
«Dai. Sei bello, sai. Come ti chiami? Io mi chiamo Rossana.»
«Maurizio.»
«Maurizio. Sei di qui? Io abito qua dietro. Mangiamo qualcosa insieme, dopo. A me piace il carpaccio di pescespada, con l’insalata. Lo fanno al ristorante qui sopra, è buonissimo. O anche una schiacciatina. Cos’è meglio? Per non ingrassare, dico. Il carpaccio o la schiacciatina?»
Maurizio guardava verso la signora sdraiata più avanti che nel frattempo si era messa seduta. La donna in acqua adesso era davanti a lui. Non sembrava una fuori di testa nonostante i discorsi che stava facendo. Anche il tono era gentile. Qualsiasi cosa fosse stata, Maurizio non voleva essere scortese con lei.
«Signora? Rossana, Rossana. Ecco. Senti, grazie davvero, ma sto aspettando mia moglie, è andata a nuotare insieme a un’amica, tra poco dovrebbero rientrare. Grazie, ma non posso.»
«Maurizio? Che lavoro fai? Dai, spogliati, vieni in acqua. Di che colore ce li hai gli occhi? Togliti gli occhiali. Hai gli occhi azzurri? Perché non vieni a pranzo insieme a me?»
Maurizio non sapeva cosa fare. Aveva tirato fuori il telefonino e si era messo a guardare delle cose a caso. Quella Rossana era strana, senz’altro aveva qualche problema. Si mise a cercare lo sguardo dell’altra signora per condividere quel disagio. Sarebbe stato facile, un insulto, un urlo, non mi rompere i coglioni vecchia di merda, che poi avrà avuto la sua età, e Rossana se ne sarebbe andata. Ma non voleva, non se la sentiva di farlo.
«Senti, Maurizio. Ti piace viaggiare? A me piacerebbe molto. Vorrei andare sull’isola, questa qui davanti, che si vede. Mi piacerebbe avere una casa sull’isola. Casa mia invece è qua dietro ma anche qui è bello, vero? Magari andiamo a prendere un caffè insieme. Ti va un caffè?»
«Te l’ho detto. Sto aspettando mia moglie. Tra poco arriva. Ecco.»
«Parlo troppo, eh. Ti do fastidio. Però ci potresti venire a prendere un caffè insieme a me.»
«No, grazie» Maurizio si era alzato, aveva raccolto lo zainetto con le sue cose, aveva deciso di allontanarsi. Cominciava a esserci un po’ di gente in giro, i pescatori e quelli delle barche del porticciolo. Sperava di sentire qualcuno che parlava, qualcuno che dicesse ecco, c’è ancora quella matta, vediamo a chi si attacca stamani, e invece niente.
Era salito a piedi verso la carrabile del porticciolo, poi si era fermato in un punto riparato dall’ombra di un albero. Da lì aveva visto la donna uscire dall’acqua. Si era passata l’asciugamano sul corpo, poi si era infilata il vestito e si era incamminata verso l’altra parte del moletto. Nel frattempo aveva intravisto arrivare due persone a nuoto e aveva riconosciuto la boa rossa di sua moglie. Lei e Laura erano di rientro. Allora Maurizio si era incamminato per andar loro incontro.
«Allora? Com’è andata?»
«Bene. Fiù, sono stanca», aveva risposto sua moglie, guardando l’orologio. «Un’ora e diciannove minuti. Mille e quattrocento settantasei metri. Non è possibile, mi è parso molto più lungo. Devo aver scontrato qualcosa», diceva continuando ad armeggiare con l’orologio.
«Potevate fare mille e cinque, già che ci eravate», aveva commentato Maurizio.
«Anche a me sembrava di più», aveva detto Laura.
«Tu cos’hai fatto? È da tanto che sei arrivato?»
«Niente. Sarà una mezzora», aveva risposto Maurizio “Mi hanno molestato”, aveva detto, sorridendo.
«Molestato, in che senso?» aveva chiesto sua moglie.
«Ma niente, una tipa, una signora. È entrata in acqua e mi ha chiesto se facevo il bagno con lei, se poi si andava a mangiare insieme, a prendere un caffè. Le ho detto che vi stavo aspettando ma lei insisteva. Boh.»
«Sarà una un po’ fuori di testa» aveva detto Laura.
«Eh, direi» aveva ribattuto Maurizio.
«Il mio Maurizio. Un così bell’omino che non lo posso lasciare da solo un momento e subito me lo infastidiscono, queste donne» aveva scherzato sua moglie.
«Sì, come no. Poveretta. Sembrava anche normale. L’ha sentita anche quella signora, lì», aveva risposto Maurizio, indicando la donna sdraiata più avanti.
«Davvero», aveva fatto quest’ultima, unendosi alla conversazione. «Chissà, una signora sola. Però era un po’ strana, sì. Insisteva. Lei è stato gentile, mio marito l’avrebbe mandata subito a quel paese. Mi ha fatto pena.»
Sua moglie e Laura si erano tolte le mute da nuoto, si erano asciugate, poi si erano rivestite, raccolto le loro cose nelle borse e tutti insieme si erano incamminati verso l’uscita dal porticciolo. Maurizio aveva salutato sua moglie e Laura che avevano proseguito verso il parcheggio, lui si era fermato dove aveva lasciato la moto. Mentre si stava mettendo il casco, aveva visto una piccola Toyota rallentare e accostare accanto. Al volante c’era Rossana.
«Maurizio. Ciao. Ci vieni a prendere un caffè insieme a me? Ti prego. Mi fai un poco compagnia.»
«No. Grazie. Devo andare via. Me ne vado. Ciao.» Stavolta le aveva risposto col tono brusco. Poi si era infilato i guanti, acceso il quadro della moto e avviato il motore.
Rossana era ancora lì in macchina, il finestrino abbassato. «Ciao, allora» gli aveva detto «Peccato, però.»
Maurizio aveva ingranato la marcia e dato un’ultima occhiata alla donna dentro l’utilitaria. Gli stava facendo ciao con la mano e stava piangendo.
In alto: elaborazione grafica di Erna Corsi
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Manrico Scarpelli è nato a Livorno nel 1959. Da poco è in pensione. Scrive da sempre e dal 2007 pubblica ogni tanto qualcosa assieme ai suoi amici del laboratorio di scrittura QWERTY.