Il libro di Paola Pitagora, da cui è tratta la pillola di oggi, offre un interessante spaccato sulla vita italiana negli anni ’60.
Pillole di femminile, la rubrica per riflettere su alcuni piccoli grandi temi legati alla vita di tutti i giorni.
Scritto sotto forma di diario Fiato d’artista. Dieci anni a Piazza del Popolo, pubblicato da Sellerio nel 2001, è il racconto di una giovane attrice ai suoi esordi nel cinema e nel teatro. Un libro di memorie che ripercorre l’intensa storia d’amore vissuta da Paola Pitagora con il pittore Renato Mambor e gli incontri con gli artisti che hanno fatto la storia dell’arte di quegli anni.
Tra le pagine, che ci accompagnano in gallerie d’arte, set cinematografici, palcoscenici, piazze, troviamo anche il racconto dei provini di allora: una sottile denuncia del maschilismo diffuso in quei tempi, non così diverso da quello che conosciamo oggi.
«C’è sempre quell’ultima volta: non è meno intenso, né meno coinvolgente, è ultimo. Dopo, i corpi attivano un solitario rinnovarsi. Dopo, è tabula rasa, ai ricordi si comincia ad opporre un rifiuto, e per un po’ non si affacciano neppure.
Basta evitare di passare per certe strade, per esempio, dove appesi ai cornicioni dei palazzi permangono lembi di emozioni, risonanze di incontri. Basta spostare leggermente il capo al sentirne pronunciare il nome, sfocando lo sguardo come davanti a un paesaggio troppo frequentato. Vaghe astuzie del non-dolore.
La separazione è lo scempio di tutti i desideri fioriti e coltivati accanto a. Ma, sotto sotto, la parte che ha iniziato il suo distacco profondo, sovrintende con soddisfazioni alle pratiche del trasloco da. Il trasloco vero e proprio dalla nostra prima e ultima casa, dove avevamo cercato di coniugare le nostre vite, lo attuarono i miei genitori, col pretesto che ero in tournée, mai li ho ringraziati abbastanza per avermi risparmiato quella pena; riuniti pochi mobili da qualche parte, riparavo a casa loro, nella mia stanza di ragazza a guardare il soffitto e a rimuginare.
“ È sano lasciarci “, mi ripeteva Renato, sarà, ma che fatica a staccarsi da quel nostro ‘spazio bianco interamente ricoperto’.
Avevo la consapevolezza di avercela messa proprio tutta.
Avevo 26 anni, mi sentivo vecchia, e non prendevo neppure in considerazione che davanti a noi c’era un futuro, anche se non insieme.
Sicuramente avevo commesso errori in quegli anni, nel voler superare ad ogni costo tutte le difficoltà; al contrario, la via filosofica era lasciarsi andare alle cose, toccare il fondo, guardare in faccia la dannata solitudine, e semmai concepire in cuore il termine ‘ libertà’ , senza provare terrore: perché della libertà, avevo talmente paura, da non osare nemmeno pensarla. Ecco, chissà che l’anima di Renato, un tempo così vicino alla mia, non avesse intuito che tenendomi legata, non avrei neanche iniziato quel difficile percorso di educazione alla libertà, che richiede allenamento e un po’ di disperazione iniziale.»
Il libro nel 2018 è stato portato in scena in uno spettacolo teatrale interpretato dalla stessa Paola Pitagora, con la regia della figlia Evita Ciri.
Serena Betti
Foto in alto: Elaborazione grafica di Erna Corsi
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