Romana Petri e i racconti dei mostri “da dentro” che si mangiano le madri

Romana Petri
Nel suo ultimo libro, una raccolta di dodici racconti, la scrittrice ci mostra l’altra faccia del sogno, dove esistono tanti inferni: a ciascuna mamma il suo.

Dal quarto numero de L’Altro Femminile, donne oltre il consueto, scarica il PDF della rivista o sfogliala online.

«A mia madre che quando ero piccola mi disegnava i personaggi di una storia e poi li colorava e ritagliava per farli muovere a parlare davanti a me.» Questo si legge appena si apre Mostruosa maternità (Giulio Perrone Editore, 2022) della scrittrice Romana Petri, girando la copertina e togliendo dalla nostra vista l’immagine della mantide religiosa che vi giace sopra, in tutta la sua elegante mostruosità. È una dedica bellissima, perché dipinge con un’immagine semplice e stilizzata (proprio come il disegno in copertina) una cosa enorme, complicatissima e a volte anche devastante: il sentimento che lega una madre ai propri figli.

Madri egoiste, insicure, troppo sensibili, infatuate, masochiste, disperate

La raccolta si apre con il flusso di coscienza di una madre che tutti noi conosciamo: Annamaria Franzoni, e si chiude con un dialogo tra due donne che parlano di lei e del fatto che non abbia mai confessato: donne che giudicano, la prima, donne che cercano di capire e che valutano ipotesi, la seconda. In mezzo ci stanno dieci racconti di tante madri diverse. Madri egoiste, insicure, troppo sensibili, infatuate, masochiste, disperate; madri protagoniste di storie realmente accadute o immaginate, ma il cui pensiero, il cui sentimento, i cui gesti parlano al lettore con una schiettezza e una apertura disarmanti. Infatti lo stile di Petri in questo suo raccontare disarma, non giudica, si immedesima. Petri descrive, narra e produce dubbi: a parità di condizioni delle protagoniste, tu lettrice o lettore, cosa avresti fatto?

Tutto bene, deve andare bene per forza

«Guardate bambini, che tira tira poi la corda si spezza» ci dicevano le nostre madri quando eravamo piccoli e facevamo troppi capricci, nel tentativo, spesso vano, di farci calmare, ragionare, di farci capire che se non cambiavamo registro la loro pazienza si sarebbe “spezzata”. Cosa succede quando la pazienza si spezza e spezza le persone? Cosa succede quando i figli arrivano per caso, oppure sono talmente pensati e programmati che diventano un’idea di perfezione durante quei nove mesi in cui se ne stanno buoni buoni a nuotare dentro di noi? Cosa succede quando un figlio mostra palesemente di “volere più bene al babbo che alla mamma” (altra domanda che noi bambini del ‘900 ci sentivamo porre spesso da parenti e amici, prima che venisse, giustamente, stigmatizzata) o viceversa?

romana petriPetri cerca di mostrarcelo, raccontando, supponendo, immaginando, con i suoi racconti, che si snodano lungo un arco temporale che va dal Medioevo fino ai giorni nostri, perché tanti (troppi?) aspetti dell’essere madri e padri non sono mai mutati nel tempo e, mi viene da dire, in Italia più che nel resto d’Europa. Ricordo che una mia collega di studi, puerpera trentaquattrenne lei e trentaseienne io, alla mia domanda su come stava, se aveva latte, se riusciva a dormire, mi rispose: «Tutto bene, deve andare bene per forza. Indietro non si torna, Elena.»

Eravamo lì, noi due, studentesse fuori corso, noi due che in mezzo agli esami ci avevamo messo amori e vacanze e viaggi, noi due laureate alle soglie dei trent’anni e con un impiego in campo informatico (campo più spiccatamente maschile, almeno fino ai primi anni duemila) iniziato da pochi anni; noi due sedute sul divano di casa sua, coi due neonati attaccati al seno che smettevano di piangere solo se stavano attaccati al seno, ovvero il più possibile, e a volte nemmeno in quel caso; noi due fortunate, con un lavoro che ci garantiva i tre mesi di maternità obbligatoria e la possibilità di usufruire della facoltativa; noi due fortunate con due compagni che lavoravano loro stessi e che sì, stavano fuori tutto il giorno e avevano problemi a far quadrare i conti, ma quando erano in casa con noi c’erano, in tutti i sensi. Eppure lei, con lo sguardo grande e umido mi disse che indietro non si tornava e che si doveva andare avanti in tutti i modi. Ci siamo andate, ma perché non eravamo sole. Lei ha avuto anche una seconda bambina. Io no, non ne ho avuto la possibilità, e va bene in entrambi i modi.

Elena Marrassini

Foto in alto: Romana Petri

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