Ginevra Ballati e le sue Ossa Cave, ma piene: di creature, colori e sogni

Ginevra Ballati
Conigli, capre, cani, esseri umani e creature del bosco e della mente prendono vita nei dipinti dell’artista pistoiese, in atmosfere dai colori leggeri ma densi di significato.

Ormai da anni sono preda di una “sana” passione e curiosità per le mie conterranee pittrici: Ginevra Ballati è una di queste ed è senz’altro una donna oltre il consueto. Ballati è stata una bambina delle montagne pistoiesi, e si sente: la natura respira e si respira nei suoi disegni. Molteplici significati si intrecciano tra fantasia e realtà, tra terra, muschio, cielo, draghi e grifoni e nuvole e acqua di stagno e di mare.

Ginevra Ballati è cresciuta sull’Appennino pistoiese, ha avuto una formazione accademica in Tecniche pittoriche e Illustrazione, seguita da una laurea magistrale in Filologia moderna, conseguita a Firenze con una tesi su Carlo Dossi. Dal 2009 affianca all’attività artistica anche l’illustrazione. Lavora nell’ambito della didattica dell’arte e come educatrice museale in collaborazione con vari enti tra Toscana e Emilia Romagna. Nel 2020, con Iacopo Cassigoli e Ahmad Daher, ha fondato UrsaMaior, un’associazione che si occupa di editoria e progetti didattici.

La conosco virtualmente tramite un mio amico di tastiera, la “leggo”  sul suo blog Ossa Cave ammirando i suoi lavori, che presenta anche sui social. Ho avuto modo, nel corso del 2019, di vedere alcune sue opere anche dal vivo, in occasione dell’evento Guardami e Ascoltami – Pistoia contro la violenza sulle donne, presso la Chiesa di San Biagino nella nostra città.

Perché Ossa Cave, Ginevra?

«Intanto grazie per l’interesse e per questa introduzione molto lusinghiera. Ossa Cave è un luogo di raccolta – ormai obsoleto, essendo un blog – che nasce una decina di anni fa. Lo scopo era di mettere in fila alcuni miei lavori, principalmente per vedere attorno a quali nodi tematici e archetipici si sarebbero sviluppati nel tempo. È una sorta di esperimento, inizialmente pensavo che sarebbe durato molto poco. Ossa Cave è anche una formula che racchiude concetti ed elementi che mi interessano e ricorrono nel mio lavoro: le ossa, intese come quello che resta dopo la sottrazione della carne, ma anche come riduzione ai minimi termini, cioè alla linea portante; e la cavità, il vuoto, il passaggio che permette di passare da qua a e viceversa. Il ritmo di questo passaggio è quello del respiro, parola che giustamente ricorre nella tua introduzione.»

Quando ha iniziato a dipingere? E quando ha definito il suo stile, dopo anni oppure è nato quasi subito?

«Ho da sempre disegnato molto, praticamente da quando riesco a tenere una matita in mano, quindi non saprei immaginare una versione di me senza il disegno, anche perché prediligo il linguaggio visivo a quello verbale e il mio pensiero di preferenza si sviluppa per flussi di immagini. Il disegno mi è necessario per comprendere quello che succede su diversi piani e per rimanere in contatto stretto con una parte di me che altrimenti rimarrebbe troppo periferica. Per quanto riguarda la pittura ho iniziato a praticarla da autodidatta verso gli undici o dodici anni, usando la tempera all’acqua. L’acquerello fu una specie di epifania, successe nel 2006, quando scovai per caso una scatola di Windsor & Newton nell’aula d’arte del liceo. Poi è venuto il percorso accademico e gli esperimenti con le altre tecniche, ma l’acquerello rimane insostituibile perché permette alla linea del disegno di non rimanere soffocata sotto al colore. Venendo allo stile, credo sia una valutazione più semplice da fare per chi guarda che per me. Mi dicono da anni che la mia mano sia molto riconoscibile, credo comunque che, elementi immutabili e gangli vitali a parte, tutto sia ancora in evoluzione. Cresce con me per sottrazione.»

Nei suoi personaggi spesso lei unisce l’essere umano e l’animale e, almeno per me, l’effetto è a volte tenero e solare e a volte inquietante, con sfondi di paesaggi surreali, onirici, eppure con un accorgimento per accostamenti di colori e sfumature impressionante. Non sono una critica d’arte, so solo che mi piacciono i suoi lavori e cerco di spiegare cosa mi comunicano: che dice, ho colto qualcosa di quello che lei sente e vuole trasmettere o sono lontana anni luce?

«Mi sono chiesta anche io come mai ci siano tutte queste fusioni tra piante, animali, umani e addirittura con materie inorganiche. Fusioni che compaiono già in alcuni disegni che facevo a quattro anni. Da una parte credo che sia perché non percepisco una differenza di valore tra le categorie ed esteticamente trovo interessante disegnare e dipingere le forme naturali, più o meno rielaborate, senza percepire la mescolanza come un problema. Dall’altra potrebbe essere perché tutti i soggetti appartengono allo stesso luogo, una specie di spazio mitico e simbolico che è separato dal nostro usuale e quotidiano. Sono tutti fatti della stessa sostanza, rispondono a regole e leggi fisiche leggermente diverse da quelle canoniche e soprattutto hanno una natura polisemica. Questo loro avere più significati può tradursi nello sconfinare gli uni negli altri. I colori di solito sono chiamati spontaneamente dal disegno, cioè sono le forme, le linee e soprattutto il tema di fondo della tavola che mi suggeriscono il colore. In certi casi (penso al rosso, al bianco e ad alcuni blu) il colore segnala uno status peculiare del soggetto, di solito legato al sacro. Il paesaggio, quando c’è, rimanda sempre allo stesso luogo, ma visto da punti di vista diversi. Un po’ come quando si sogna e si ha la chiara percezione di riconoscere il posto in cui ci si trova. Quando non c’è paesaggio è perché siamo nel vuoto e il soggetto ha assorbito e obliterato lo spazio esterno, quindi siamo oltre (o dietro?) il paesaggio. L’effetto su chi guarda – ma anche su di me a tavola finita, quando viene il momento di fare una valutazione razionale dell’immagine – spazia tra gli estremi che individui. C’è dentro un po’ di tutto, anche a seconda di quale tema prevale in quel lavoro specifico: inquietudine e allarme perché viviamo gomito a gomito con presenze inquietanti e stiamo saltellando verso il disastro; meraviglia e gioia perché nonostante tutto c’è tanto di cui godere e tanto da ricordare; ironia e gioco, per alleggerire tutto il resto.»

Non di sola pittura respira Ginevra, giusto? Lei faceva e fa anche altro, soprattutto nei laboratori con i bambini, mi pare di capire…

«Soprattutto non di sola pittura mangia Ginevra, anche perché sarei già da un pezzo estinta e svolazzante nel pulviscolo. Mi occupo anche di illustrazione e di didattica: in ambito scolastico e nel ruolo di educatrice museale.»

Cosa fa di preciso una educatrice museale?

«Chi fa didattica museale è in sostanza un medium, si occupa di progettare e realizzare visite e attività, cioè i famigerati laboratori, per rendere fruibile al pubblico (bambini, ragazzi, adulti, famiglie) quanto è esposto in un museo. Si tratta di fare da tramite tra le opere e chi le viene a visitare e di proporre una serie di riflessioni e di attività – possibilmente non soporifere – per stabilire un contatto con gli autori, le tecniche e i loro lavori.»

Ginevra Ballati-ossacave-segale cornuta 2022
Ginevra Ballati – Ossa cave, Segale cornuta, 2022

Cosa pensa delle cosiddette “lauree forti” e “deboli”? È difficile lavorare nel suo campo, qui in Italia? 

«La divisione tra lauree forti e deboli nasce da una visione puramente pragmatica delle discipline. Se si considera il percorso di studio esclusivamente dal punto di vista del rendimento, del prestigio, della produttività certamente è una classificazione sensata. Per formazione e per convinzione trovo che sia dannoso e avvilente guardare allo studio solo attraverso la lente dell’occupabilità. Credo che siano ormai pochi i campi in cui il lavoro in Italia sia facile e piano. Lavorare in ambito culturale mette in contatto con una serie di elementi ed esperienze che fanno apprezzare pienamente la decadenza di questo paese. Non perché manchino i posti di lavoro, tutt’altro, ma perché la massima che guida nella gestione di quei posti di lavoro è di solito un trionfale «meno è meglio»: meno personale, meno tutele, meno contratti, meno decenza, meno retribuzione, meno diritti. Chi resiste ai primi anni sviluppa una quasi incredibile tolleranza a essere calpestato, oppure malcelate tendenze anarchiche. Per chi volesse rendersi conto della situazione ci sono i dati e le testimonianze raccolti dall’associazione Mi riconosci?»

Il suo percorso di studi magistrali in Filologia moderna ha plasmato e/o arricchito il suo approccio al disegno?

«Per me testo e immagine sono vasi comunicanti. Sono sempre stata in mezzo ai libri, anche perché abitando per anni in un luogo molto isolato le mie occupazioni erano disegnare, leggere ed esplorare in stato semi selvatico prati e boschi. Enciclopedie, libri illustrati, romanzi, saggi, poesia sono veicoli di immagini, e tuttora un testo mi piace se riesco a vederlo per immagini mentali. Alla filologia sono approdata proprio per indagare questo legame, ma anche perché la natura tecnica della disciplina appaga il mio lato iper razionale e il mio bisogno di ordine.»

Le piace lavorare di più con i bambini o con gli adulti? In quale delle due dimensioni si sente più “libera”?

«In realtà, per mio limite caratteriale, mi sento più a mio agio nel momento puramente progettuale, quello in cui si studia, si scrivono testi e si creano prototipi per i laboratori. Per quanto riguarda la fase che prevede la comunicazione al pubblico preferisco lavorare con bambini e ragazzi, perché solitamente sono meno inibiti e condizionati dal contesto (manca cioè il sentirsi in dovere di far vedere a tutti quanto si è intelligenti, colti e sensibili frequentatori di musei). I bambini inoltre tendono a dialogare in maniera più spontanea con le opere, il che può portare a intuizioni interessanti.»

Il coniglio (o lepre, perdoni la mia ignoranza in materia) e il teschio umano che così spesso appaiono nei suoi dipinti si conoscono fra loro, sono amici o nemici? Perché compaiono così spesso?

«Conigli, lepri, silvilaghi, tutta la famiglia dei leporidi compare spesso. Sono animali silenziosi e apparentemente fragili, ma molto vitali, tendono a sparire velocemente e sono messaggeri inquietanti. Li collego al concetto di apparizione – asparizione, direbbe Caproni -, al sacro che sceglie di mostrarsi in un baleno. Nel teschio, nelle ossa in generale, c’è un rimando alla tradizione del memento mori e della danza macabra (e all’ironia delle danze macabre). Le ossa si portano dietro la consolazione che viene dal pensare che tutto passa e svanisce, che il movimento naturale del mondo è verso la sparizione. Disegnarle è anche una forma di celebrazione delle strutture naturali: se ci si pensa le ossa hanno caratteristiche estetiche vicine alle sculture di marmo. Tra teschi e leporidi, e tra i leporidi e tutti gli altri, i rapporti sono variabili. Sospetto da qualche parte esistano trattati di non belligeranza.»

Lei ha animali domestici? Vive in campagna o è diventata un animale da città, dopo l’infanzia in Appennino?

«Casa mia è assiduamente presidiata da uno stranissimo gatto conosciuto durante l’ultimo trasloco. Lentamente, ma con metodo e con donativi di lucertole, ha colonizzato i miei spazi e mi ha informato delle sue preferenze. Probabilmente sono stata raggirata. In generale ho avuto la fortuna di abitare fin da bambina in ambienti dove gli animali, selvatici e domestici, non sono mai mancati: gatti, rospi, cani, conigli, ungulati, pennuti vari. Attualmente vivo in una vecchia casa piena di piante, nei pressi del centro storico di Pistoia. Da una delle finestre rivolte a nord vedo il monte Libro aperto. Forse la definizione più corretta è “animale di montagna scivolato a valle”.»

Crede nella pet-therapy?

«Non ho avuto modo di vederla in uso, ne ho sentito parlare molto bene. A prescindere dall’applicazione terapeutica credo che relazionarsi con gli animali, specialmente se lo si comincia a fare fin da piccoli, permetta di sviluppare modalità comunicative più complete e in generale porti benessere.»

Grazie, Ginevra, di essersi lasciata conoscere un po’ meno virtualmente, le confesso che lo desideravo da tempo. Le auguro buon lavoro, buone battaglie, buon respiro; continuerò a farmi “educare” e trasportare dai suoi colori con ancora più piacere.

Elena Marrassini

In alto: Ginevra Ballati- Foto di Sara Bargiacchi

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