La società pretende la perfezione, ma per le donne il carico è molto gravoso

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Un recente fatto di cronaca ha sottolineato quanto sia schiacciante il dovere imposto delle donne. La maternità non fa eccezione.

Non è più sostenibile il gravoso carico di perfezione che la mentalità dominante impone alle donne. È di qualche giorno fa la notizia della morte di un neonato, avvenuta all’ospedale Pertini di Roma. Abbiamo letto tuttə la storia purtroppo, una storia straziante, di quelle che non dovrebbero mai accadere e che prendono dritte allo stomaco. Si parla di un travaglio stremante, di una donna lasciata sola, senza nemmeno il padre del bambino ad aiutarla. Di richieste non ascoltate, della pretesa dell’allattamento, del cambio pannolino da sola, della gestione di un esserino appena nato da parte di una primipara inesperta e sfiancata dalle fatiche del parto. Quando ho partorito io, quasi dodici anni fa, era notte. Mio marito fu mandato via dopo il periodo di pelle a pelle, poco dopo il ritorno in camera.

Erano circa le due quando tornai in camera, nostro figlio dormiva nella sua culletta e io finalmente potevo mangiare qualcosa. Mi ricordo che, distesa nel letto, mi girava molto la testa e mi sentivo formicolare dappertutto. «È la perdita di sangue, non si preoccupi» mi risposero. Avevo dolori e punti di sutura, le donne che hanno partorito sanno bene cosa vuol dire fare anche minimi movimenti nel letto, figuriamoci alzarsi, stare sedute o camminare. Anche io mi misi mio figlio nel letto, non ce la facevo ad alzarmi per prenderlo. Ho passato la notte così, addormentata ma vigile, stanca e debole, e ho avuto la fortuna di un parto veloce con “solo” cinque ore di travaglio attivo e poco più di mezz’ora di spinte.

La giovane mamma che si trova di fronte al lutto più terrificante che una persona possa vivere, invece, ha avuto un parto molto più difficile. La sua stanchezza era sicuramente amplificata rispetto alla mia, ma doveva comunque farcela perché così è stabilito. Ha chiesto aiuto, lo dice chiaramente suo marito, ma tra le restrizioni covid e l’idea di «che cosa sarà mai, si fa dalla notte dei tempi» è successo l’impensabile. Io, francamente, della pretesa che le donne debbano essere sempre all’altezza di tutto, forti, combattive, adattabili e risolute mi sono rotta.

Perché non si può non farcela? Perché dobbiamo sempre attenerci a quello che si esige da noi? Anche le donne hanno il sacrosanto diritto di dire «non ce la faccio», anzi non è solo un diritto, è un dovere! Ne abbiamo anche parlato con Francesca Fiore di Mammadimerda. Le donne sono stanche di dover essere sempre quelle perfette. Mogli perfette, mamme perfette, donne perfette, lavoratrici perfette. Non è una cosa umana, soprattutto in tempi in cui la donna ha la libertà (mai totale) di poter essere chi vuole, senza essere relegata solo ai doveri casalinghi. Invece si pretende sempre di più, sempre meglio, e questo non è più accettabile, né umanamente né ideologicamente.

Io non riesco nemmeno a immaginare l’inferno che sta attraversando la giovane mamma di Roma. Quando ci penso mi si stringe il cuore. Credo che il dolore di quei genitori sia qualcosa di sconfinato, ma il senso di colpa di lei sarà certamente schiacciante, soprattutto con il carico di aspettative che la società ci ha messo addosso fin da subito. È necessario che il pensiero comune cambi, che si smetta di pretendere perfezione e sacrificio. È ora di capire anche le donne sono fallibili, che hanno bisogno di aiuto, di sostegno, di ascolto.

Ed è anche ora, per le donne, di perdonarsi. Perché lo so benissimo che le nostre giudici più severe siamo noi stesse e non solo verso di noi, anche rispetto alle altre donne. Basta con l’aspettativa da dover mantenere, basta con il carico da dover sopportare. Dobbiamo cominciare a pretendere partecipazione da chi ci circonda, in ambito familiare e non solo. Siamo forti, volenterose, tenaci, ma anche fragili, stanche e sconfortate. Siamo umane, non automi, è arrivato il momento di pretendere che ci trattino come tali. Da parte di tutta la redazione mando un abbraccio virtuale alla giovane mamma di Roma. Un abbraccio complice e comprensivo, ma soprattutto silenzioso, perché le parole per esprimere un tale cordoglio non esistono.

Serena Pisaneschi

Foto in alto: di Dyversions su Pixabay

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