Professionismo nel calcio femminile, che sia l’inizio di una nuova era?

calcio femminile
Finalmente anche le calciatrici italiane passano al professionismo; adesso è fondamentale continuare ad abbattere la barriera degli stereotipi.

L’annuncio è ufficiale: a partire dalla stagione 2022/2023 il calcio femminile passerà al professionismo. Certo, c’è stata una specie di titubanza di alcuni club di serie A, titubanza che hanno voluto chiamare incomprensione perché ennesima figuraccia sessista pareva brutto, ma alla fine l’accordo è stato trovato. Mi verrebbe da citare un famoso astronauta dicendo: «un piccolo passo per l’uomo, un grande passo per l’umanità», dove per uomo s’intende essere umano di sesso maschile, ma non vorrei paragonare una cosa che fu così innovativa come l’allunaggio a qualcosa che, francamente, era l’ora che accadesse.

Come sappiamo, il calcio femminile non è mai stato considerato degno dell’importanza del calcio maschile. Mesi fa abbiamo parlato anche con Sara Corsi e Ilaria Ciofini delle profonde differenze che ci sono tra i due mondi, sia all’interno che, soprattutto, all’esterno. Perché il calcio praticato dalle donne non è creduto altrettanto valido, altrettanto importante, eppure la Nazionale femminile ha portato a casa grandi risultati in ambito europeo e mondiale. Il problema sta nel fatto che, quello del calcio, è un mondo strabordante di testosterone quindi per natura precluso alle donne. Ma questo divieto non sta scritto da nessuna parte, è solo una delle tante stupide convenzioni sociali dalle quali le donne sono quotidianamente soggiogate. Stereotipi, sempre loro, maledetti e perpetui. Se sei femmina non ti deve piacere il calcio. Se ti piace il calcio la tua non è vera passione. Se per caso giochi non sei brava come i maschi. Se invece sei anche brava, comunque non lo sei abbastanza da essere paragonata a un maschio. Ah, e sei per forza lesbica. No, signori, non è così. Ci sono ottime giocatrici di calcio in tutto il mondo, atlete capacissime e plurititolate che contraddicono qualunque credenza, stereotipo o luogo comune infanghi il calcio femminile.

In nazioni un po’ più evolute della nostra, almeno sotto questo aspetto, le calciatrici sono passate al professionismo già da tempo. Germania, Stati Uniti e Inghilterra sono avanti anni luce rispetto all’Italia, noi ci siamo decisi solo adesso, e non senza molta fatica. Purtroppo, come troppo spesso accade, anche nel calcio tutto gira intorno ai soldi. Ci sono società disposte a pagare cifre degne del PIL di un piccolo Paese per accaparrarsi un giocatore, perché sa che quel giocatore porterà spettacolo, visibilità, sponsor. Il trattamento economico di alcuni big del calcio giocato sfiora il ridicolo, si parla di milioni di euro, soldi che magicamente scompaiono quando a giocare sono le donne. Perché sono meno brave? Meno atlete? Non penso. Il morivo non sta tanto nella credibilità, quanto in quel confine varcato e nell’ostinata mancanza di cultura calcistica femminile. Sì, le donne possono fare cose “da maschi” e sono pure brave, ma non ci si vuole credere o, peggio, non si ritengono all’altezza. Questo è un enorme peccato perché si toglie l’opportunità alle donne di coltivare le proprie passioni, cosa che non è mai stata fatta con gli uomini. Non esistono uomini a cui è stato impedito di esprimersi in un ambito considerato “femminile”, forse qualcuno di mentalità un po’ retrograda li avrà guardati storto, ma non mi risulta che non siano potuti andare avanti e, soprattutto, godere della stessa credibilità e del trattamento economico delle donne.

Il professionismo nel calcio femminile vuol dire contributi, tutele legali e sanitarie. Nel mio cuore spero voglia dire anche più visibilità, più accettazione. Le società dovrebbero cominciare a investire di più e i media rivolgere la propria attenzione ai campionati femminili, a trasmetterli, a parlarne. Sono sicura che gli uomini diranno che non è lo stesso calcio e hanno ragione: non lo è. È diverso, come d’altronde sono diversi l’approccio maschile e femminile alle cose. Ma è altrettanto valido e alimentato dalle atlete che, lasciatemelo dire, si fanno un mazzo tanto esclusivamente per la passione che le muove, perché non esistono ritorni di altro genere. Quindi, cari uomini, cominciate a guardare al di là del vostro territorio, allungate l’occhio e aprite la mente. Siate moderni, siate progressisti. Fate sì che le vostre figlie, un giorno, possano sentirsi libere di seguire la propria passione, che magari è anche la vostra. E cosa c’è di più bello di condividere un passione con i propri figli? Solo la consapevolezza di aver dato loro la possibilità di viverla.

Serena Pisaneschi

Foto in alto: Jeffrey F. LIN su Unsplash

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