Infanzia di Tove Ditlevsen. Un viaggio introspettivo e sincero

Tove Ditlevsen
«È una grande sofferenza non avere più emozioni autentiche. È come se le cose dovessero seguire percorsi alternativi per riuscire a commuovermi.»

La casa editrice Fazi, nel marzo scorso, ha fatto uscire la traduzione italiana di Infanzia, primo libro della Trilogia di Copenaghen della poeta e romanziera danese Tove Ditlevsen. Nei tre romanzi autobiografici – gli altri sono Gioventù e Dipendenze – Ditlevsen racconta tre fasi della vita della sua anima complessa e bellissima.

In Infanzia l’autrice ci racconta la sé bambina e giovane ragazza, distintamente spanne sopra le sue coetanee in quanto a sensibilità. La si può immaginare come il pezzo di un puzzle che non trova l’incastro nel mondo, che si confronta con gli altri e rimane in disparte, chiusa in se stessa e consapevole di essere diversa. In più parti del suo racconto Tove Ditlevsen dice che a scuola faceva di tutto per sembrare sciocca, non brillante come invece era. Se ne sta nell’ombra attaccata al suo sentire amplificato e al quaderno di poesie che conserva gelosamente. È lì che culla il sogno di diventare scrittrice, che conserva quella parte che vuole tenere nascosta soprattutto da quando il padre le ha detto che «le donne non possono essere scrittrici.»

La giovane Tove scrive poesie e si confronta con le altre ragazzine del palazzo in cui vive. Fa amicizia con l’esuberante Ruth, ma fatica non poco a entrare nelle dinamiche sociali che albergano a casa e a scuola. Più cresce, più vede la differenza tra sé e le altre, non si integra nei modi e nei pensieri, soprattutto nei sogni. Si scontra con la rigidità della madre e il sottile maschilismo del padre, ma ogni lotta è intestina in lei, non la esterna mai. Si affaccia a loro in punta di piedi, non si espone, soprattutto non si fa conoscere più di tanto. Forse per paura di risultare così diversa dalla figlia che dovrebbe essere, forse per la certezza che sarebbe incompresa, magari derisa. La sua sensibilità la porta anche a domandarsi se sia lei a essere sbagliata, ad auto analizzarsi mettendosi a confronto con chi la circonda. «Per me è una grande sofferenza non avere più emozioni autentiche e, al tempo stesso, dover fingere di averle imitando le reazioni altrui. È come se le cose dovessero seguire percorsi alternativi per riuscire a commuovermi.»

Io ho audio letto questo romanzo grazie a Storyrtel. Mi ha tenuto compagnia per qualche ora e mi ha fatto conoscere un’autrice che, so già, non mi deluderà. Aspetterò che anche il resto della trilogia sia tradotta e pubblicata, perché questa autrice, questa donna così complessa e travagliata, mi ha affascinata tanto da volerla conoscere fino in fondo o, almeno, per quanto lei ci abbia concesso di conoscerla.

Serena Pisaneschi

Foto in alto: Tove Ditlevsen

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