Pillole di Femminile – Storie piccole che raccontano un mondo grande #139

Isolina - Pillole di femminile
La tragica storia di Isolina Canuti, il silenzio dello Stato e il riscatto civile a oltre un secolo di distanza grazie all’associazione veronese “Isolina e…” che si dedica alla prevenzione del femminicidio.

Pillole di femminile, la rubrica per riflettere su alcuni piccoli grandi temi legati alla vita di tutti i giorni. La call “Abbagli” sta per terminare, non perdere questa occasione per metterti in gioco, invia il tuo racconto inedito entro il 30 aprile 2025.

ISOLINA E… di Cinzia Inguanta

L’alba del 16 gennaio 1900 avvolgeva Verona in una nebbia gelida, mentre le acque dell’Adige scorrevano lente sotto ponte Garibaldi. La Mariotta e la Gina, con il viso irrigidito dal freddo, si chinarono per lavare i panni. Non potevano immaginare quello che le attendeva. «Che freddo oggi! Queste lenzuola sembrano ghiacciate» disse la Gina, strofinando con forza il tessuto contro la pietra. La loro attenzione fu catturata da un grosso involucro scuro, gonfiato dall’acqua, ondeggiava tra i canneti. La curiosità, più forte della voglia di far presto per tornare a scaldarsi, le spinse ad avvicinarsi. «Sarà carne di scarto, per frodare il dazio» pensò a voce alta la Mariotta. Incuriosite trascinarono il sacco verso la riva. Quando lo aprirono, il silenzio del loro orrore si sommò a quello dell’alba. All’interno, giacevano i resti straziati di una giovane donna.

«Madonna santa…» sussurrò la Gina, portandosi le mani alla bocca.
«Isolina…» mormorò la Mariotta, riconoscendo il corsetto di raso rosso che la ragazza le aveva mostrato orgogliosa. Se l’era fatto fare per compiacere Trivulzio, il tenentino, il suo innamorato. Così lo chiamava lei con gli occhi che brillavano: il suo innamorato. Come immaginare che quell’indumento così lezioso, tutto lacci e pizzi, sarebbe diventato il suo sudario funebre. «Hanno fatto a pezzi la povera Isolina!»

La notizia si sparse per Verona come un’onda di gelo. La figlia del Canuti, quello che affittava le camere agli ufficiali in Corso Cavour, era stata assassinata e fatta a pezzi. Quell’ammasso di carne, gettato nel fiume come immondizia, era Isolina. Una giovane donna di diciannove anni, incinta di quattro mesi. Era felice, Isolina. Aspettava un figlio dal suo bel tenentino. Per lui aveva perso la testa. L’aveva persa davvero, quella testa piena di ricci, che ora sembravano serpenti d’acqua: fu ritrovata solo molti mesi dopo. Era quasi Natale quando l’acqua la restituì nei pressi di Ronco all’Adige. Quel mosaico di orrore si era infine ricomposto.

Carlo Trivulzio, il giovane ufficiale dagli occhi di ghiaccio, quel figlio non lo voleva. Un intralcio, un’ombra sulla sua brillante carriera. Aveva offerto del denaro a Isolina, spiccioli per sbarazzarsi di quella fastidiosa gravidanza. Ma lei, testarda e innamorata, aveva rifiutato. Quel bambino lo voleva, era frutto del loro amore, pensava ingenuamente.

Così il bel tenentino, abituato a ottenere ciò che desiderava, si organizzò a modo suo per risolvere il problema. Un invito a una festa all’osteria di Vicolo Pomodoro, una serata tra ufficiali. Un modo, pensava Isolina, per farsi perdonare il suo rifiuto, per celebrare il loro futuro. Isolina felice e ignara beveva, beveva. Mani amichevoli facevano in modo che il suo bicchiere fosse sempre pieno. Una sinistra allegria riempiva il locale.

Quando pensarono che fosse ubriaca abbastanza, la condussero in una saletta appartata. Un tavolaccio lurido era lì ad attenderla, presagio di quanto l’attendeva. Chissà se Isolina nell’ebrezza comprese il pericolo imminente. Forse urlò, si ribellò con la disperazione di un’animale in trappola. Ma cosa poteva fare contro quei corpi robusti che la immobilizzavano, mentre una mano spietata le squarciava il ventre, strappando via la vita che germogliava dentro di lei?

Forse, se l’incoscienza l’avesse avvolta del tutto le cose sarebbero andate diversamente. Ma su quel tavolaccio macchiato, insieme al bambino che non sarebbe nato, Isolina esalò l’ultimo respiro. Un corpo inerte, un ingombro. Cosa fare se non smembrarlo, ridurlo a pezzi anonimi e infine gettarlo come spazzatura nelle acque del fiume?

Come un segugio tenace che fiuta la preda nel buio, l’inchiesta si addentrò nel cuore pulsante della Verona militare, puntando dritto al tenente Carlo Trivulzio. Il suo volto sembrava scolpito nel marmo. I suoi occhi non lasciavano trapelare nessun sentimento. Negò con fermezza, ma il sospetto lo avvolgeva. In città serpeggiava un’inquietudine sorda, un tarlo che rodeva la facciata di rispettabilità.

Verona era una città in bilico, dove le divise garrivano più dei panni stesi al sole. I militari, fieri della loro appartenenza, si muovevano con tracotanza tra la ricchezza ostentata e la miseria strisciante. L’eco lontana delle sconfitte coloniali e il fermento delle lotte operaie creavano un’atmosfera greve, carica di silenzi imbarazzati e di paure inconfessate. In questo clima torbido, la storia di Isolina rischiava di affogare nell’indifferenza, un sussurro spento tra le voci potenti.

Ma un uomo si oppose a questa amnesia collettiva: Mario Todeschini, deputato socialista con l’anima del tribuno e la penna affilata del giornalista. Dalle colonne del suo Verona del Popolo, lanciò strali infuocati contro il muro di omertà, costringendo Trivulzio a rompere il suo mutismo. Però, al processo che ne seguì, il vero imputato non sedeva al banco degli accusati. Il dito della giustizia puntò contro chi aveva osato squarciare il velo dell’ipocrisia.

L’opinione pubblica si divise come un legno vecchio. Da una parte, le voci che chiedevano verità per Isolina, sostenute da giornali coraggiosi. Dall’altra, un coro compatto di difensori dell’onore militare, pronti a sacrificare la reputazione di una “ragazza facile” sull’altare del prestigio dell’esercito. Isolina, la giovane donna che aveva amato e sognato, fu trasformata in un’ombra inconsistente, la cui tragica fine sembrava quasi meritata.

Il verdetto cadde come una mannaia: Todeschini fu condannato, la sua voce soffocata dalla legge. L’assassino di Isolina, invece, rimase nell’ombra, protetto da un silenzio complice. La giustizia aveva chinato il capo di fronte al potere. E questa è la storia di Isolina la cui unica colpa fu quella di essersi innamorata del bel Carlo Trivulzio, tenente del 6° reggimento degli Alpini.

***

Isolina Canuti però non è stata dimenticata. Infatti, la sua memoria vive nell’associazione veronese Isolina e… , fondata nel 2013. Questa realtà si dedica alla prevenzione del femminicidio. Lavora instancabilmente per seminare un cambiamento culturale che affondi le radici nelle nuove generazioni, a partire dai banchi di scuola. Con progetti mirati e attività di sensibilizzazione, l’associazione si impegna a scardinare gli stereotipi di genere, a educare al rispetto e alla parità, a riconoscere i segnali precoci della violenza e a promuovere relazioni sane e appaganti. Ma il suo impegno non si ferma alle aule scolastiche. Isolina e… è anche un motore propulsivo di strategie legislative e sociali, un faro che illumina la necessità di leggi adeguate e di un sostegno concreto alle donne vittime di violenza.

Cinzia Inguanta

Foto in alto: Elaborazione grafica di Erna Corsi

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