Per una volta il tam-tam dei social media è servito a mettere in luce abusi e giochi di potere, creando al tempo stesso un movimento sinonimo di unione.
Dal sesto numero de L’Altro Femminile, donne oltre il consueto, scarica il PDF della rivista o sfogliala online.
Sappiamo tutti benissimo quanto sia facile, al giorno d’oggi, la diffusione di qualcosa sui social. Bastano davvero poche condivisioni dei personaggi giusti ed ecco che diventa virale in poche ore. Ci sono volte in cui questa viralità può essere superflua e momentanea, altre perfino dannosa, ma ci sono occasioni in cui determinate espressioni diventano mezzo e unione, come nel caso di #MeToo.
Nell’ottobre del 2017 il New York Times (e pochi giorni dopo anche il Newyorker) fece uscire un’inchiesta in cui accusava Harvey Weinstein – cofondatore della Miramax – di molestie sessuali.
Ad accusarlo scesero in prima linea le attrici Ashley Judd e Rose McGowan, facendo da apripista a molte altre colleghe e lavoratrici del mondo dello spettacolo. Jodi Kantor e Megan Twohey, le giornaliste che firmarono l’articolo, ascoltarono molte testimonianze e scoprirono casi di insabbiamento e di pagamenti in cambio di silenzio.
I primi accenni
Il sentimento comune, per tutte quelle donne, era l’impotenza. Che si trattasse di un’assistente o di una stella del cinema, le accuse mosse contro Weinstein non venivano ascoltate, molto spesso liquidate con un «lui è fatto così.» Inutile dire che la carriera di quelle donne che si erano esposte, soprattutto delle attrici, subì una battuta d’arresto. Già nel 1998 Gwyneth Paltrow, durante un talk show, aveva accennato al comportamento scorretto di Weinstein; nel 2010 e nel 2015 erano seguite altre accuse, ma non avevano portato a niente. Se non lo aveste fatto, vi consiglio di guardare She said, film del 2022 che racconta tutta la vicenda.
L’accusa formale
L’articolo del New York Times ha sortito l’effetto dello scoperchiamento del vaso di Pandora e il 30 ottobre del 2017 la polizia di Beverly Hills annuncia l’apertura di un’inchiesta. Oltre ottanta donne dichiareranno pubblicamente di essere state vittime di Harvey Weinstein; molestie, aggressioni e violenze sessuali sono le denunce che vengono mosse nei suoi confronti.
Nel 2020 Weinstein è stato condannato a ventitré anni di carcere per stupro e atti sessuali criminali verso l’attrice Jessica Mann e sta ancora scontando la pena in un penitenziario.
Se qualcunә sta pensando che tutta questa faccenda sia appannaggio esclusivo del mondo dorato di Hollywood, di star internazionali e ambienti molto facoltosi made in USA, è in errore. Purtroppo – ed è proprio il caso di dirlo – per certi argomenti tutto il mondo è paese, e il nostro non fa eccezione. Sulla scia del #MeToo sono molte le attrici italiane che hanno raccontato di aver subito molestie sessuali. Gina Lollobrigida, Anna Mazzamauro, Pamela Villoresi, Fioretta Mari tra i nomi noti, e tanti altri molto meno noti (e non è nemmeno difficile immaginare il perché siano meno noti). Nel mondo dello spettacolo, che si parli di tv, teatro o cinema, sono numerose le donne che hanno subito un qualche tipo di molestia. Gesti magari considerati goliardici da chi li commetteva, ma mortificanti per chi ne era vittima.
Un aiuto concreto
Nel 2021 è nata in Italia Amleta, «un’associazione di promozione sociale il cui scopo è contrastare la disparità e la violenza di genere nel mondo dello spettacolo.» Il divario tra uomini e donne in questo ambito artistico, in tutti i ruoli ricopribili, è ancora molto ampio. In più, l’aspetto delle molestie sessuali è storia di sempre.
Le richieste illecite
Provini non ortodossi, richieste eccessive, imbarazzanti, sfrontate sono tutt’oggi all’ordine del giorno. Immaginate una ragazza appena maggiorenne, o anche più piccola, a cui viene chiesto di mostrarsi sexy, a cui viene detto che per lavorare nell’ambiente bisogna essere disposte a tutto. Aspiranti attrici valutate per la scollatura o per la disponibilità. Giovani donne messe di fronte a richieste illecite e irrispettose, a volte anche a vere e proprie avance, da parte di registi, attori, produttori. Se volevano lavorare dovevano cedere, concedere, umiliarsi. Non è questa mercificazione? Non è questo abuso? Lo è da sempre, ma non se ne parla mai.
L’unione fa la forza
E per rispondere aә tantә che si sono chiestә: «Se è vero, come mai non ha denunciato prima?» Perché la macchina dello spettacolo è potente, perché non sarebbero state credute tanto a Hollywood quanto a Cinecittà o al piccolo teatro di paese. Ricordo che oltre ottanta donne hanno denunciato Harvey Weinstein. Donne che nei decenni sono state messe a tacere con il denaro, quando sconosciute, o, se famose, non sono state ascoltate o sono sparite come meteore.
A cosa serve quindi denunciare? A troncare una carriera? A non farla nemmeno partire? Perché una donna che sogna di lavorare nel cinema o in teatro o in tv deve essere costretta ad accettare l’umiliazione di dover essere considerata solo un corpo bello da vedere o, peggio, da usare? Questo non può più essere lo scotto da pagare per realizzare quel sogno.
Ridefinire la normalità
Il movimento #MeToo si è fatto portavoce di chi ha subito molestie e abusi sessuali e, al tempo stesso, ha dato la spinta a denunciare. La solitudine di chi subisce questo tipo di vessazioni è molto pesante, ma se prima si viveva l’abuso in una scontata sopportazione, adesso non più. Per tanti anni un comportamento del genere è stato ritenuto “normale”, parte della giostra dello show business, una specie di scotto per vivere la favola della fama.
Ma non si può normalizzare la violenza, non si può chiudere un occhio (o tutti e due) perché si è sempre fatto così. Denunciare è fondamentale, così come lo è non addossare colpe alla vittima, prassi ahinoi consolidata in qualsiasi contesto. Sarebbe davvero bello un mondo in cui non ci fosse bisogno di movimenti come il #MeToo, perché vorrebbe dire che le donne sarebbero trattate come individui che hanno un valore e non solo come oggetti sessuali. Questo è davvero un obiettivo a cui puntare, ma per poterlo raggiungere è fondamentale che certe mentalità cambino e si cominci a rapportarsi con l’altrә con il rispetto che è dovuto a chiunque.
Serena Pisaneschi
Foto in alto: Ashley Judd – foto da vanityfair.com
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