Maresa D’Arcangelo e il Festival internazionale cinema e donne di Firenze

Maresa D'Arcangelo
Era il 1979, tutto ebbe inizio dalla volontà di promuovere e valorizzare il cinema fatto dalle donne. Da allora, il Festival si è svolto ogni anno, diventando uno dei più importanti eventi cinematografici al mondo dedicati al cinema delle donne.

Dal sesto numero de L’Altro Femminile, donne oltre il consueto, scarica il PDF della rivista o sfogliala online.

Maresa D’Arcangelo è una delle anime portanti del Festival internazionale cinema e donne che per oltre quarant’anni ha contribuito a raccontare il cinema fatto dalle donne, a scoprirne i volti, le diverse personalità e capacità professionali fornendo un importante contributo interculturale. Ci siamo incontrate per un caffè in un bel sabato mattina di dicembre, poche settimane dopo la fine del Festival, e sono rimasta affascinata dal racconto della vita di una donna decisamente oltre il consueto.

Può raccontarci, per iniziare, chi è Maresa D’Arcangelo? 

«Vengo da una famiglia degli anni ’50 e il cinema da ragazzina non mi interessava quasi per niente. Vivevamo a Lanciano in Abruzzo e la scoperta del cinema arrivò solo negli anni del ginnasio con il professore di greco, grazie al quale scoprii che esistevano anche altri film oltre a quelli americani che venivano proiettati nelle sale cinematografiche. All’epoca si parlava molto del neorealismo, ma in realtà quelle pellicole non erano distribuite nei cinema e l’unico modo per vederle era creare un cineclub e procurarsele. Ne parlavo recentemente con Liliana Cavani e mi raccontava che anche lei aveva fatto un’esperienza simile con ragazze della sua scuola. Tornando ai tempi di Lanciano, decidemmo di far nascere quel primo cineclub, io avevo quattordici anni e ne diventai la vicepresidente, ma solo perché ero ancora minorenne, altrimenti sarei stata la presidente perché ci lavoravo come una pazza e ne ero veramente entusiasta.»

Come funzionava il cineclub?

«Si faceva la domenica mattina nei locali di un cinema. All’epoca a scuola non veniva proiettato niente. Per il nostro cineclub “sovversivo”, come veniva definito considerando anche che si avvicinava il ‘68, noleggiavamo la sala e le pellicole. Il cineclub attirava un mare di gente, praticamente da tutte le scuole dei dintorni. Lanciano è una cittadina di scuole e la domenica tutti venivano al cinema. Eravamo legati al movimento pacifista di Aldo Capitini, e questo fu l’origine dell’amicizia con il professor Pio Baldelli, docente di Teoria e tecnica delle comunicazioni di massa all’Università di Firenze, uno dei primi a fare cinema per gli studenti, ma ne parleremo più avanti. Eravamo tantissimi e credo fosse un fenomeno caratteristico degli anni ‘60, i ragazzi capivano che se volevano vedere un altro cinema se lo dovevano cercare. Da quella stessa esigenza nacque qualche anno più tardi il Festival cinema e donne.»

Ci può spiegare meglio di quale esigenza si trattava?

«A quei tempi c’erano notizie di donne che facevano cinema, si leggevano articoli di chi andava ai festival e ne scriveva, ma naturalmente non si vedeva niente. In Italia c’erano Liliana Cavani, Lina Wertmüller e Suso Cecchi D’Amico, sceneggiatrice e preziosa collaboratrice dei più importanti autori italiani, ma si trattava di registe molto osteggiate. Soprattutto di Cavani si dicevano cose terribili, quest’anno invece è stata celebrata. La Wertmüller era meno osteggiata, perché aveva il sostegno degli americani e credo perché pensassero che il suo fosse un cinema molto folklorico, anche se non lo era per niente. Sul piano internazionale potrei citare Agnes Varda, maestra della Nouvelle Vogue, a lungo sottovalutata se non ignorata e poi riscoperta e rivalutata moltissimo negli ultimi anni della sua vita. Per le donne funzionava così. Quello che noi facemmo negli anni che precedono il 1979, primo anno del Festival, ricalca proprio ciò che era successo negli anni ‘60 a Lanciano: c’erano dei film che ci interessavano, come potevamo fare a vederli?»

Come è nato il Festival cinema e donne?

«Tutto ebbe inizio a Firenze, dove mi ero trasferita per gli studi universitari, e grazie al rapporto nato negli anni di Perugia con il movimento pacifista di Aldo Capitini legato al professor Pio Baldelli di cui abbiamo accennato. Baldelli disponeva di un proiettore a sedici millimetri e di una moviola poco usati. Andammo a parlare con lui e si rese disponibile ad aiutarci purché avessimo un minimo di rapporto con l’università. Tre di noi decisero di candidarsi come assistenti volontari a un corso propedeutico alle tesi sul tema cinema e donne e la faccenda fu molto avventurosa. A quei tempi un film per arrivare da noi doveva attraversare tutte le frontiere, ancora non c’era la Comunità Europea, e viaggiava in pesanti scatoloni di metallo che sembravano ruote di carrarmato. Inoltre, c’era il problema di procurarsi i film, perché per fare un festival e dovendo scegliere fra tanti film non potevamo farcene mandare venti per poi sceglierne uno. L’unica possibilità era andare a vederli nel Paese della regista e dovevamo capire come fare.

La prima opportunità che ci si presentò fu grazie a un contatto con Ester Carla de Miro d’Ajeta, prima docente di filmologia in Italia con cattedra a Genova, dove era ideatrice e direttrice del festival Il gergo inquieto dedicato al cinema sperimentale. Fu lei a segnalarci Chantal Akerman, che ci lasciò i suoi film per sei mesi. Su quei film organizzammo un corso universitario che andò molto bene. Noi però volevamo vederne altri.»

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Continua a leggere l’intervista a Maresa D’Arcangelo sul sesto numero de L’Altro Femminile.

Paola Giannò

Foto in alto: Maresa D’Arcangelo

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