Ce lo racconta Chiara Luisetto, consigliera regionale del Veneto del PD, facendo luce su modalità e rischi per il prossimo futuro.
Pochi giorni fa, un video registrato da Chiara Luisetto denunciava in rete le criticità delle nuove normative che dovrebbero regolamentare nel prossimo futuro il servizio dei centri antiviolenza e delle case rifugio per donne vittime di violenza. L’abbiamo contattata per poter capire meglio e ascoltare dalle sue parole quali sono i rischi e le possibilità di poterli evitare.
«Nei giorni scorsi è cresciuta una mobilitazione sui social e sulla stampa per chiedere a leader e organismi europei di reintegrare la definizione di stupro come rapporto sessuale senza consenso nella direttiva del Parlamento europeo sulla violenza contro le donne, direttiva che ha tolto questo assunto dalla descrizione di ciò che è un abuso, rischiando così di essere monca e pericolosamente svuotata di senso.
Negli Stati Uniti, la carta repubblicana per le prossime elezioni si chiamerà di nuovo Donald Trump, il cui linguaggio abituale prevede una certa regolarità nell’insultare, stereotipare, sminuire e sessualizzare le donne.
Nei giorni scorsi il Sindaco di Terni Stefano Bandecchi durante un Consiglio Comunale nel quale si discuteva un provvedimento delle minoranze contro la violenza di genere è intervenuto chiarendo che gli “italiani maschi normali” la pensano come lui quando si tratta di “guardare un bel c…” o “provarci con una donna”. Quanto ha proferito in seguito è agli onori della cronaca.
Succede in un Comune del nostro Paese, in Europa, negli Stati Uniti, ed è anche questo il contesto politico nel quale ci muoviamo quando discutiamo, manifestiamo, ci mobilitiamo, chiediamo rispetto, tutela, investimenti e norme a supporto dell’antiviolenza. Considerare le esternazioni di politici ritenuti estremisti come casi isolati o valutare come di scarso impatto provvedimenti nei quali si stralciano concetti fondamentali, rischia di allontanarci dal percorso, tortuoso e necessario, su cui camminare per sradicare quella cultura patriarcale che sgorga da parole e atteggiamenti di possesso, infestando di violenza i comportamenti e la quotidianità.
Allora è bene essere chiari: in questo percorso non c’è spazio per le sottovalutazioni.
Quando nel settembre 2022 è stata siglata l’Intesa Stato-Regioni con i nuovi criteri per il funzionamento dei centri antiviolenza e delle case rifugio, la Regione Veneto non ha considerato che questa sottoscrizione avrebbe portato alla chiusura di circa la metà dei centri e servizi sul territorio. Perché questo rischio?
Tra i nuovi e stringenti criteri c’è all’obbligo di occuparsi in via prevalente di antiviolenza, il che significa ad esempio chiudere gli sportelli dei Comuni e le case rifugio di realtà che svolgono altre attività come l’accoglienza minori. Sarà obbligatorio dotarsi di un call center attivo 24 ore su 24, al quale risponda personale formato e dedicato.
È opportuno ricordare che già oggi ogni centro ha un numero dedicato al quale risponde negli orari di apertura; quando chiude si attiva il 1522 a sua volta in rete con forze dell’ordine e ospedali. Chiedere ai CEAV (centri antiviolenza) una disponibilità 24 ore su 24 senza stanziare adeguate risorse aggiuntive significa non soltanto imporre costi insostenibili ma farlo in assenza di ragioni valide poiché un sistema c’è e funziona.
Sono trascorsi mesi di silenzio mentre la data per l’entrata in vigore, marzo 2024, si avvicinava a grandi passi. Alcune delle realtà pubbliche e di terzo settore che operano in quest’ambito hanno perso professioniste che se ne sono andate non sapendo se ad aprile avrebbero avuto ancora un lavoro, hanno perso bandi non sapendo se potevano partecipare a progettualità di ampio respiro. Un’incertezza che abbiamo denunciato più volte come insostenibile, nel tentativo di tenere alta l’attenzione e di non lasciare sole proprio coloro che ci sono sempre nel momento di necessità.
Il 22 gennaio scorso un incontro tra la Ministra Eugenia Maria Roccella e l’Osservatorio sul fenomeno della violenza nei confronti delle donne e sulla violenza domestica mette in campo la necessità di rivedere taluni criteri a fronte della situazione critica di alcune regioni. E ora? Come purtroppo spesso accade nel nostro Paese, si è scelta una proroga, altri diciotto mesi di tempo nei quali i servizi dovrebbero adeguarsi alle nuove regole, ma anche la promessa di trovare un punto di equilibrio tra alcuni criteri importanti e altri rischiosi. Tempo in più che è stato definito di “congelamento” dell’Intesa, mentre pare essere più una graticola per volontarie ed operatrici, in attesa ancora di capire e di sapere se si potrà continuare ad esistere.
In Veneto, a fronte delle 3450 donne che si sono rivolte ai centri antiviolenza e ai quasi 400 nuclei mamma-bambino ospitati nelle case rifugio nel 2021 (in crescita rispetto alle 3110 e ai 289 del 2020), abbiamo 26 CeAv, 28 case e 38 sportelli che vivono con i medesimi contributi degli scorsi anni, una rete che si è dimostrata essenziale e che ha bisogno di più forze, di più riconoscimento. Abbiamo bisogno di queste professioniste e volontarie, di vederle sempre più entrare nelle scuole per contribuire a costruire percorsi stabili di educazione all’affettività fin dalla più tenera età. A loro dobbiamo consentire di programmare le proprie attività con risorse certe, disporre di spazi adeguati nelle emergenze per una pronta accoglienza diffusa e sentirsi centrali non soltanto il 25 novembre di ogni anno ma attraverso il rispetto di istituzioni attente a coloro che sono interfaccia vera di protezione e presenza dove nessun altro ascolta, comprende, crede. Come consigliere del PD abbiamo proposto nei mesi scorsi e ottenuto lo stanziamento di
fondi aggiuntivi per i centri, in particolare per la formazione, e l’apertura di sportelli negli atenei veneti perché se è vero che nel quotidiano si annidano possesso e violenza, è lì che vanno accolte e ascoltate coloro che li vivono. Lo dobbiamo alla memoria di Giulia, da pochi giorni dottoressa, alla tenacia di Elena, alla dignità di Gino e alle troppe sorelle che ogni giorno continuiamo a veder sparire.»
Chiara Luisetto è nata a Marostica nel 1983 ed è laureata in Scienze Politiche. Attualmente opera per il coordinamento di servizi e strutture per l’assistenza sociale rivolta a famiglie e minori. Dal 2014 al 2019 ha ricoperto il ruolo di Sindaca di Nove (Vicenza) ed è stata consigliera in Provincia di Vicenza tra il 2014 e il 2017. è stata Segretaria provinciale di Vicenza del suo partito e ora è Presidente dell’assemblea del PD Veneto.
Erna Corsi
Foto in alto: Chiara Luisetto
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