Marina Cuollo, ebbene sì, a Disabilandia si tromba

Marina Cuollo
Un saggio ferocemente sincero in cui l’umorismo fa da padrone e che, tra un sorriso e l’altro, ha la capacità di regalare preziosi insegnamenti.

Confesso senza nessun timore che non amo molto i saggi. Sono più affascinata dalla narrativa perché le storie mi si formano in testa e a me non resta che fare da spettatrice, con la mia bella ciotola di popcorn virtuale, il messaggio da recepire e, all’occorrenza, la lacrima a portata di mano. Come succede per ogni regola, però, ecco che si presenta la sua puntuale eccezione: A Disabilandia si tromba di Marina Cuollo, edito da Sperling & Kupfer, mi ha letteralmente illuminato le giornate.

Cuollo, da scienziata qual è, ha scritto il suo saggio come se fosse una ricerca, ma d’altra parte è anche ricercatrice. Innanzitutto, stabilisce due categorie: normodotati e disabili, poi illustra per entrambe tutte le tipologie conosciute. Il suo esame è impeccabile, preciso, ferocemente sincero. Chiunque lo legga, che sia dell’una o dell’altra fazione, non può fare a meno di chiedersi a quale tipologia appartenga, perché di una fa quasi sicuramente parte, purtroppo. Ma quello che colpisce non è l’analisi puntuale o la perfetta conoscenza antropologica dei soggetti esaminati, quanto l’umorismo che alimenta ogni pagina del libro. Non si può fare a meno di sorridere, di farsi scappare qualche “ah!” di divertimento, ma soprattutto è impossibile non cogliere la verità di quello che stiamo leggendo. Marina Cuollo ci mette in mano pagine che raccontano la realtà dei fatti, specialmente quando parla di pregiudizi, barriere architettoniche o abilismo, ma lo fa con un’ironia che è molto potente, molto di più della rabbia che, a ragione, avrebbe potuto usare.

A Disabilandia si trombaSi dice che per conquistare un uomo si debba passare per la gola, allora affermo che, per conquistare la massa, è molto più efficace una risata di un rimbrotto. Bisogna fare come si fa coi bimbi piccoli. Quando si riprendono troppo duramente si ostinano fermi nelle proprie posizioni, ma quando si fa capire loro l’errore con un sorriso apprendono meglio l’insegnamento. E quello che tenta Marina Cuollo con il suo saggio è proprio insegnare ai lettori. Aiuta a vedere situazioni, comprendere errori, redimere preconcetti. Bacchetta tanto i normodotati quanto i disabili senza risparmiare colpi a nessuno. Tra una risata e l’altra infila frasi taglienti, a volte dolorose, rivolgendole a tutto il pubblico leggente. Per esempio ci parla di quello che i sociologi chiamano il Teorema di Thomas: «Se gli uomini definiscono reali certe situazioni, esse saranno reali nelle loro conseguenze» e dice: «Se sei convinto, cioè, di essere diverso nelle tue abilità perché sei inabile in una certa quantità di queste, ti comporterai in maniera adeguata alle tue convinzioni, rendendo reale quello che è un limite solo mentale.» Mi sembra un concetto chiarissimo che deve fungere da stimolo per tutti coloro che si abbattono, che si auto impongono limiti, perché, come scrive nel prologo: «una vita con il risparmio energetico, una vita con il cambio automatico, è una vita povera.»

I rimproveri per la categoria dei disabili sono molti, specifici e tendenti all’incoraggiamento, ma c’è un messaggio che arriva fortissimo ai normodotati, o almeno a tutti coloro che non hanno una pietra al posto del cuore. Scrive: «Spesso il senso comune ci porta a pensare che se il male non viene nominato, farà meno male. Magari fino a sparire. Non è così, purtroppo. Anzi, se possibile ci aggrava. Ci rende tutti più soli, più isolati. E ovunque ci giriamo, in cerca di uno sguardo di normalità, troviamo solo giudizio o compassione o pietà. Uno sguardo normale, tra esseri umani sullo stesso pianeta, è raro come trovare un diamante per strada.» Ed è qui che il normodotato deve cominciare a riflettere, che deve analizzare il suo comportamento e capire di quale sostanza siano fatti i propri sguardi. Anche perché Marina Cuollo, poi, piazza dieci parole che arrivano come un fendente dritto allo stomaco di chi legge, e siccome è vero che le parole hanno un peso, queste si portano dietro il carico della verità e la forza del cambiamento. «Non ci ammazzano più, ma a volte fa male uguale.»

Serena Pisaneschi

Foto in alto: Marina Cuollo

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