Le magnifiche diciotto: Nadine Gordimer, la voce indomita del Sudafrica

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La Nobel sudafricana che con la scrittura ha combattuto l’apartheid e ispirato un futuro di giustizia e speranza.

Nel vasto e spesso iniquo panorama della letteratura mondiale, a oggi, solo diciotto donne hanno avuto l’onore di essere insignite del Premio Nobel per la Letteratura. Un dato che, purtroppo, continua a evidenziare una significativa disparità di genere. Tra queste magnifiche diciotto voci, brilla quella di straordinaria lucidità e coraggio di Nadine Gordimer. Scrittrice sudafricana scomparsa nel 2014, che nel 1991 si aggiudicò il prestigioso riconoscimento.

La sua vittoria fu motivata con parole che risuonano ancora oggi: «con la sua scrittura epica magnifica è stata di notevole beneficio all’umanità». Ma chi era Nadine Gordimer e quale fu il suo impatto così profondo?

Una vita forgiata dall’apartheid

Nadine Gordimer nacque a Johannesburg nel 1923. Figlia di emigrati ebrei, si ritrovò a vivere in un paese lacerato da uno dei sistemi di discriminazione più iniqui della storia: l’apartheid. Fin da bambina, dopo essere stata ritirata dalla scuola, iniziò a scrivere. Attingeva la materia prima per le sue opere direttamente dalla vita che la circondava. Come ella stessa afferma, «non era una politologa né una giornalista», ma semplicemente «una scrittrice che si è trovata a vivere in questo paese. Ho attinto il mio materiale dalla vita che mi circonda e perciò gran parte di quanto ho scritto sono stati il modo in cui l’apartheid ha cambiato la vita dei singoli, le sofferenze inflitte ai neri e il modo in cui i bianchi si sono adattati a quel sistema».

Già con la sua prima antologia, Faccia a faccia (1949), e il romanzo autobiografico I giorni della menzogna (1953), Gordimer cominciò a esplorare le sottili e pervasive dinamiche di potere generate dal razzismo. La sua capacità di osservare era la sua vera essenza di scrittrice, come lei stessa credeva: «Se dovessi dire cosa fa di una persona uno scrittore, quale sia la sua vera essenza, credo si tratti della sua capacità di osservare.» Questa acutezza la rese una testimone impareggiabile della reclusione di Nelson Mandela, della straordinaria pacificazione e, infine, della morte di Madiba.

La più dolorosa spina nel fianco dell’apartheid

Gordimer non fu solo un’osservatrice, ma una combattente in prima linea contro ogni forma di razzismo e discriminazione. Fu definita «la più dolorosa spina nel fianco dell’apartheid». Il suo impegno si intensificò dopo l’arresto della sua amica e attivista per i diritti civili, Bettie du Toit, e la portò a diventare un punto di riferimento del movimento anti-apartheid.

La sua amicizia con Nelson Mandela divenne leggendaria. Lui, dal carcere, le inviò una lettera di complimenti dopo aver letto il suo romanzo La figlia di Burger, e Gordimer lo aiutò persino a editare il suo celebre discorso Sono preparato a morire. Non a caso, fu tra le prime persone che Mandela volle incontrare dopo la sua liberazione.

Nadine Gordimer entrò a far parte del Congresso Nazionale Africano (ANC) quando era ancora un partito illegale. La sua casa coloniale di Johannesburg divenne un rifugio sicuro per le personalità ricercate dal regime. La sua opera, spesso bandita in patria, e la sua incessante attività culturale, sociale e politica, rappresentarono una vigile presenza critica all’interno del suo sofferente paese. Rifiutò di cedere alla paura, scegliendo di rimanere a Johannesburg anche durante gli anni più tesi, difendendo i diritti civili con la sua mente e il suo corpo. Come scrisse in uno dei suoi racconti, «Il potere è qualcosa in cui sono convinta non ci sia innocenza, da questo lato del grembo materno».

le magnifiche diciotto
Le magnifiche diciotto Nobel per la letteratura

Speranze e sfide del nuovo Sudafrica

Il 1994, con le prime elezioni democratiche e il trionfo di Nelson Mandela, segnò l’inizio di un nuovo capitolo per il Sudafrica. Un capitolo di grande speranza dopo una lunga tragedia. Gordimer osservò da vicino questa transizione, non lesinando le sue preoccupazioni, ma mantenendo un’incrollabile fiducia nel futuro.

Pur riconoscendo che per molti sudafricani bianchi l’integrazione razziale fosse ancora un’idea difficile da accettare – come affermò durante un’intervista: «No, proprio no, non siamo ancora pronti in Sudafrica per queste cose, perlomeno noi di questa generazione. Forse in futuro…» –, Gordimer nutriva una grande fiducia nelle nuove generazioni. Prevedeva che per i bambini sarebbe stato più facile: «Cresceranno insieme e diverranno adolescenti e sicuramente nasceranno delle relazioni amorose miste». Sebbene ciò potesse portare a «shock» e «fratture familiari» per molti genitori, credeva che si sarebbe trattato di «conflitti personali che non sfoceranno necessariamente nella politica».

Era consapevole che le vecchie generazioni bianche si sarebbero aggrappate tenacemente ai loro privilegi, specialmente sul lavoro, ma la transizione sarebbe stata garantita dalle nuove leggi che non li privilegiavano più. Gordimer era diretta riguardo a coloro che non avrebbero accettato il cambiamento: «Chi non accetterà le regole se ne andrà e alcuni lo hanno già fatto: i giornali sono pieni di offerte per l’immigrazione in Australia o Nuova Zelanda. Che se ne vadano, qui sarebbero solo un problema».

La scrittrice, con la sua inconfondibile lungimiranza, ammonì i suoi compatrioti a non farsi influenzare eccessivamente dalle aspettative occidentali: «non enfatizzare l’influenza dei paesi occidentali. Io vivo qui e mi sta più a cuore ciò che faremo noi sudafricani». Esortò coloro che avevano lottato contro il regime razzista a rimanere vigili, liberi pensatori e critici, affinché non si aggregassero alla retorica vincente. Il suo avvertimento era chiaro: «se le cose cominciassero ad andare storte dovremmo trovare il coraggio di denunciarle e di essere critici, altrimenti ci troveremo in un deterioramento forse irreversibile».

Nonostante le sfide, il messaggio finale di Gordimer era di speranza incrollabile, specialmente per i nati nella nuova era: «chi nasce oggi ha davanti un capitolo completamente nuovo, ha davanti finalmente la vita».

Un’eredità duratura

Nadine Gordimer, insignita anche del Booker Prize nel 1974 e del Premio Grinzane Cavour per la Lettura nel 2007, ha lasciato un’eredità immensa. Non fu solo una scrittrice e saggista di fama mondiale, ma una intellettuale e una attivista. Co-fondò il Congresso degli Scrittori Sudafricani e divenne vicepresidente del PEN internazionale. La sua vita e la sua opera sono state un inno alla giustizia. Un faro che ha illuminato le crepe e le fragili speranze del Sudafrica. Ha ricordato a tutti che il razzismo si nasconde ovunque, spesso dove meno lo si vede.

La sua è una delle diciotto voci femminili che hanno contribuito a modellare la letteratura mondiale. Ha dimostrato che la parola può essere un’arma potente nella lotta per un mondo più giusto e umano.

Cinzia Inguanta

In alto: Nadine Gordimer alla Fiera del Libro di Göteborg (2010) – Foto di Bengt Oberger – Opera propria, CC BY 3.0,Wikimedia Commons

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