Il mondo appartiene agli audaci: il grido di battaglia di una donna che non si è lasciata fermare da nessuna avversità.
Il Museo Regionale di Celje, in Slovenia, espone gli oggetti appartenuti alla sua cittadina più illustre: Alma Karlin. Probabilmente, se glielo avessero predetto quando era ragazzina, lei si sarebbe fatta una grassa risata.
Alma Karlin nacque il 12 ottobre del 1889 in un borgo, più che una cittadina, che faceva parte dei domini asburgici. La levatrice disse subito alla madre che non sarebbe sopravvissuta ma se l’avesse fatto sarebbe stata sicuramente tormentata da diverse tare.
Gli occhi erano asimmetrici e le gambe della bambina si muovevano in modo irregolare. Contro ogni previsione Alma crebbe, anche se attorniata dalle chiacchiere delle malelingue del paese sempre pronte a scagliarsi verso chiunque non aderisca alla loro “normalità”.
Il padre, ufficiale dell’esercito austro-ungarico, le insegnò il tedesco e lei, grazie ad un’intelligenza eccezionale, imparò ben dodici lingue. Questo era il miglior passaporto per uscire da Celje e allontanarsi da chi la considerava solo una strega, una pazza, una straniera in patria.
Il padre di Alma morì giovane e per la ragazza fu la spinta per allontanarsi anche dalla madre asfissiante. Quel corpo difficile non fu d’intralcio alla sua mente brillante. Nel 1909 partì per un lungo viaggio studio che, con i mezzi dell’epoca, la portò a visitare mezza Europa. Si stabilì poi a Londra fino al 1914, dove lavorò come traduttrice. Da lì si spostò in Norvegia per fare lo stesso lavoro fino alla fine della Prima guerra mondiale. Un breve ritorno al paesello d’origine rafforzò solo la sua decisione di partire nuovamente, questa volta con mete ancora più ambiziose.
Il 24 novembre del 1919 Alma partì dal porto di Genova per andare a conoscere quella porzione di mondo che ancora le mancava Perù, Panama, California, Hawaii, Giappone, Australia e Nuova Zelanda, isole del Pacifico, Thailandia, Singapore, India, Eritrea… otto anni sempre in viaggio accompagnata da Erika, la sua macchina da scrivere, e dal vocabolario in dieci lingue scritto da lei stessa. Il denaro che le serviva per vivere e spostarsi lo guadagnava scrivendo reportage per diversi giornali europei.
Alma amava ripetere che «il mondo appartiene agli audaci» e lei lo dimostrò con ogni sua singola azione.
Quando le condizioni di salute della madre si fecero precarie lei tornò a casa per accudirla fino all’ultimo giorno. Anche in questo caso, però, non si fermò mai davvero continuando a scrivere le sue memorie, oggi raccolte in ben 27 libri.
Durante la Seconda guerra mondiale fu confinata a Maribor dai nazisti che la sospettavano di essere una simpatizzante di Tito. Di riflesso i partigiani titini la isolarono, considerandola una pericolosa tedesca.
La lunga convivenza con la pittrice tedesca Thea Schreiber Gamelin fu probabilmente l’unico rapporto vero e duraturo che Alma ebbe mai con un altro essere umano. Lei le rimase vicina fino alla sua morte, nel 1950.
Nel Museo di Celje sono oggi conservati gli oltre 850 manufatti raccolti da Alma Karlin durante i suoi innumerevoli viaggi. Considerati allora come l’armamentario di una strega, sono oggi reperti preziosi che raccontano la vita di una donna indomita ma anche un prezioso pezzo di storia e antropologia nel Novecento.
Erna Corsi
Foto in alto: Celje, Slovenia, la statua dedicata ad Alma Karlin – da tripadvisor.it
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