Dipendenza affettiva: la chimica del bisogno, trovare la propria via d’uscita

Dipendenza affettiva:, La bella e la bestia - Foto di Joel Santo su Pexels
«Amare troppo significa, in sostanza, essere ossessionate da un uomo e chiamare questa ossessione amore, permettendole di condizionare le vostre emozioni e gran parte del vostro comportamento…. Significa anche misurare il grado del vostro amore dalla profondità del vostro tormento.» Robin Norwood

La dipendenza affettiva è un fenomeno complesso e pervasivo, non è una dipendenza esclusivamente psicologica ed emotiva, ma anche fisica. La dipendenza affettiva coinvolge prepotentemente la chimica del nostro cervello. Le persone che ne soffrono non sono “stupide”, ma drogate di una forma insana d’amore.

Oggi, rispetto al passato, sempre più professionisti della salute mentale se ne occupano. Molto spesso i pazienti, che oscillano come un pendolo tra il bisogno di separarsi e quello di mantenere la relazione a tutti i costi, cercano aiuto per affrontarla. Questo doppio legame tra vittime e maltrattanti può perdurare a lungo e portare a conseguenze irreversibili. Come ad esempio i recenti fatti di cronaca, di  femminicidio e omicidio-suicidio.

Quando eravamo bambini, leggevamo favole che terminavano sempre con il coronamento dell’amore: «…. e vissero felici e contenti.» Le fiabe ci insegnavano ad affrontare le difficoltà, per trionfare, per inseguire i sogni che avrebbero dovuto arricchire la vita da adulti. Un  amore felice, duraturo, un partner amorevole, interessante, premuroso e sensibile.

Forse, però, non tutti i genitori hanno raccontato le favole, e molte bambine sono cresciute con il sogno di un amore che non si sa né quando, né come, le renderà felici. O meglio, molte sembrano identificarsi in Belle, la protagonista di La bella  e la bestia, ovvero in eroine capaci di trasformare la bestia in un bellissimo principe. Che delusione quando questo non succede.

Le nostre caparbie eroine insistono nell’attesa che il miracolo avvenga, lasciando che il loro amore e la loro vita sfioriscano tra liti e maltrattamenti psicologici e fisici di ogni tipo. Rifiutano di accettare che, anche con ogni giustificazione, hanno sposato una “bestia” vera. E che questa che può essere trasformata solo da un aiuto esterno e non dal loro amore.

Sono Lucia (nome di fantasia in rispetto della privacy), che arriva nel mio studio singhiozzando, perché innamorata di un uomo sposato. Si accontenta di briciole di tempo, la pausa in ufficio o la mezz’ora dopo il lavoro, nell’eterna speranza che lui lasci la moglie e i figli per lei. Speranza sorretta dalle promesse di lui. Sono passati dieci anni da quando l’ha incontrato la prima volta e lui nel frattempo ha avuto anche un secondo figlio con la moglie.

Isabel, compagna di un alcolista dipendente. Oppure Miryam, abusata dal padre e ora vittima di violenza fisica e psicologica da parte del marito. Ma anche Sara, innamorata silente del proprio capo-ufficio, che si lascia maltrattare pur di sentirsi importante, pur di avere le sue attenzioni.

Sono situazioni in cui Lucia, Isabel, Miryam, Sara hanno creato da sole la loro prigione e non sono capaci di uscirne. Una prigione che a volte considerano quasi indispensabile, come se non potessero vivere  senza.

Nelle coppie disfunzionali in cui uno dei due è alcolizzato o violento, si tende, con pazienza e grande coraggio, a sopportare tutto per il bene dei figli. Oppure a sperare che «un giorno grazie a me cambierà», o a pensare  «cosa farebbe senza di me.»

Certo queste “vittime” hanno molte giustificazioni, ma di fondo sono assolutamente incapaci di occuparsi di se stesse e riescono a sopportare solo quello strano tipo di solitudine a due. In pratica finché hanno qualcuno di cui occuparsi sono forti e capaci, ma se devono occuparsi di se stesse sono assolutamente incapaci e impaurite. Infatti temono di non riuscire a vivere senza l’altro.

Come dice lo scrittore Fabrizio Caramagna: «Il carnefice sceglie la sua vittima, ma più spesso è la vittima a scegliere il carnefice.» La dipendenza affettiva patologica può togliere il fiato, riempirci di ansia, farci pensare che salvare la relazione sia più importante di salvare noi stessi. Un cocktail di ansia, depressione, angoscia e paura. Questo tipo di relazioni risucchiano il sangue non solo a livello energetico, ma anche finanziario, psicologico, ed emotivo. Hanno un impatto a 360 gradi e se non si interviene possono rovinare la vita di persone o intere famiglie.

A prescindere dalla nostra indole e dall’imprinting affettivo che abbiamo ricevuto, le redini di una relazione sentimentale sana sono solo nelle nostre mani. Per questo diventa fondamentale cercare un salvagente, in questo mare in tempesta, un professionista per essere guidati a riconoscere le complesse trappole cognitive ed emotive che portano all’infelicità, e riuscire a costruire relazioni sane, non più alimentate dalla sofferenza.

Bibliografia: U. Galimberti: Nuovo dizionario di psicologia. Psichiatria, psicoanalisi, neuroscienze (2018, Feltrinelli). C. Guerreschi: La dipendenza affettiva. Ma si può morire anche d’amore? (2018, Franco Angeli). R. Norwood: Donne che amano troppo (2019, Feltrinelli). O.F. Kernberg: Relazioni d’amore: normalità e patologia. (1995 Cortina).

Sabrina Germi
www.psicologa-sabrinagermi.it 

In alto: foto di Joel Santo su Pexels

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