Consigli di bellezza de L’Altro Femminile: uno sguardo oltre il consueto #11

Grazia Deledda - Consigli di bellezza - classci
Immagini che racchiudono sensazioni ed emozioni insieme ai pensieri che hanno evocato. Vi regaliamo il nostro concetto di bellezza, che oggi esplora il mondo dei grandi classici nella letteratura.

Tornare a riscoprire i classici è una tendenza molto diffusa fra i lettori, soprattutto negli ultimi anni. In rete circolano molte liste di libri che si dovrebbe aver letto “almeno una volta nella vita” e ci piace tanto giocare a “ce l’ho, mi manca”, come si faceva da piccoli con le figurine degli album. Inseguendo il mio personale elenco dei classici che vorrei recuperare, mi sono imbattuta nell’audiolibro di Canne al vento di Grazia Deledda, letto da Michela Murgia. Già la sua introduzione basterebbe per amare entrambe eternamente ma rileggere finalmente il libro con la coscienza adulta è stata una vera scoperta: ve ne propongo un brano per incuriosirvi e farvi tornare fra queste pagine meravigliose.

«Che imbarazzo il silenzio che circonda Grazia Deledda. Nella critica italiana, nella letteratura, nell’elenco dei libri che vanno assolutamente letti i suoi non ci sono, il suo nome non viene pronunciato. Raramente anche all’università dove si studia la letteratura italiana. Eppure è l’unica donna italiana ad aver vinto un Nobel ed è anche una delle donne più lette nel resto del mondo, più tradotte. Per quale motivo questo Paese ha deciso di soffocare nell’oblio questa madre? Che cosa c’è di scomodo in questa donna che impedisce all’accademia italiana di riconoscere la sua importanza?

È una domanda che mi sono sempre fatta come lettrice, come scrittrice e come sarda. E piano piano nel tempo sono arrivate le risposte. La prima di queste risposte è che Grazia Deledda non è italiana. Semplicemente non lo è. Nasce in una Sardegna dove tutti venivano socializzati in sardo, quindi la sua prima lingua, matrice di imprinting diremmo oggi, non è l’italiano. E a leggerla questa cosa si capisce. C’è una ricchezza di terminologia tipica delle persone che hanno imparato una lingua straniera e non vogliono fare brutta figura, una costruzione molto complessa delle frasi ma alcuni scivoloni, alcuni errori, alcune imperfezioni che rivelano una matrice straniera.

E questa cosa resterà vera fino a dopo i trent’anni perché solo dopo i trent’anni Grazia Deledda diventerà perfettamente bilingue a forza di leggere, a forza di studiare con una determinazione di ferro che a tutti i costi vuole farle prendere possesso della lingua in cui può essere più letta di quanto invece il sardo non le garantirebbe. Una donna di una grande determinazione con mille storie da raccontare. Grazia era davvero fecondissima. Ha scritto molti romanzi, moltissime novelle, tanti interventi sui giornali. Era… oggi diremo grafomane, io direi fluviale nella sua ispirazione. Da far invidia a chiunque faccia questo mestiere.

Certamente non ha mai avuto la crisi della pagina bianca. Io sono di quella generazione che è rimasta traumatizzata da Grazia Deledda perché ci hanno fatto leggere Canne al vento in seconda media e, come spesso capita ai libri che ti hanno obbligato a leggere alle scuole dell’obbligo quando è tutto troppo precoce, ne riporti un’impressione di alienazione di provenienza da un altrove dove tu non hai non hai residenza. Questa è roba che non è per me, non c’è niente di contemporaneo per me qui dentro e quindi la disprezzai per anni. Non mi ci riavvicinai più.

A volte la scuola può far danni in questo tipo di cose. Rimango sempre del parere che la lettura dovrebbe essere un piacere un po’ rubato come i baci che nessuno può importi per didattica e quindi con Grazia Deledda, per molto tempo, c’è stato un distacco, ha subito un pochino quello che negli anni Settanta si chiedeva di fare ai giovani uomini, politicamente parlando, che volevano emanciparsi dalla propria condizione di adolescenti sociali: uccidere i padri. Noi abbiamo ucciso la madre per molto tempo: quel cadavere addormentato è rimasto lì finché non sembra esserci stato un risveglio. 

Da adulta mi capita per mano un libro scritto da un’autrice che si chiama Sandra Petrignani questo libro si intitola La scrittrice abita qui ed è un’intuizione geniale. Questa donna si gira dieci case di dieci scrittrici e attraverso il racconto di queste dimore racconta la vita delle donne che le hanno abitate. Tra queste dieci case c’è la casa di Grazia Deledda. Quindi io mi vedo restituire Grazia da una donna non sarda a distanza di trent’anni dall’ultima volta che l’avevo letta ed è una fulminazione.

Grazia non è quella vecchina coi capelli bianchi che l’unica foto che compare sulle antologie, quando compare, ci racconta. Non è questa figura ieratica e paciosa che possedeva tuttalpiù qualche storia del focolare. È una donna di una focosità indomabile che ha fatto una rivoluzione nella sua vita e anche preparatoria alla vita delle altre. Che è riuscita a metter su, per poter scrivere, una fuga dentro le istituzioni. Lei si sposa per andarsene di casa e, pur scegliendo questa strada così conformista apparentemente, sceglie un marito che conformista non è: un impiegato del Ministero che si licenzierà per seguire il suo talento.

Una cosa che tra la fine dell’Ottocento e i primi del Novecento era impensabile. Palmiro Madesani fa questo. Riconosce di aver sposato una donna che ha dei numeri seri, si licenzia, impara le lingue per farle da manager e per tutta la vita questi due saranno l’espressione di un’unione coniugale modernissima e anche di una ditta, di una impresa familiare legata appunto alla letteratura di Grazia.

Quando arriverà il Nobel la rabbia degli scornati sarà incalcolabile. Pirandello, furibondo, scriverà delle parole indecenti nei confronti di Grazia Deledda e apostroferà il marito con il titolo di “Grazio Deleddo”, prendendolo in giro perché appunto ha subordinato la propria carriera a quella della della moglie. Scriverà addirittura un romanzo, Pirandello, un brutto romanzo che si intitola A suo marito, per prendere in giro la coppia Deledda Madesani, ed è l’unico romanzo di Pirandello che non è stato portato in teatro. Una ragione immagino che ci sarà. 

In tutto questo Grazia Deledda piano piano trova il modo, attraverso l’amore dei lettori, di rientrare dalla porta di servizio in quella letteratura da cui porta principale l’avevano scacciata.E sempre più spesso trovo scrittori e scrittrici che la ricordano sulle quali ha avuto un’influenza misteriosa capitata sempre per caso, mai suggerita attraverso i canali istituzionali dove si imparano appunto i canoni della letteratura. Ecco, rileggere Canne al vento oggi ha un significato particolare per me, significa riapparentarla con tutta una letteratura diversa da quella entro la quale l’hanno collocata. Non c’entra niente col decadentismo, non credete a quelli che vi dicono che abbia qualcosa a che fare col verismo. Sentendo Canne al vento, e magari rileggendovelo anche, vi renderete conto che Grazia Deledda è romantica e gotica e ha molte parentele strette con Emily Brönte o con Mary Shelley più di quanto non ne abbia con Verga o con D’Annunzio.»

Erna Corsi

Foto in alto: Grazia Deledda – da pressinbag.it

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