La poesia nel dì di domenica: “La capanna” di Gabriella Sica

Gabriella Sica
La poesia come casa della memoria. Uno spazio abitabile, un luogo dove il passato non è solo nostalgia, ma presenza.

Vincitrice di numerosi premi, Gabriella Sica è una delle voci più riconoscibili della poesia italiana contemporanea. La sua carriera inizia nel 1986 con La famosa vita, un esordio accolto con entusiasmo e premiato l’anno successivo con il Brutium-Tropea. Da allora, la poeta ha costruito un percorso coerente e raffinato, arricchito da raccolte come Le lacrime delle cose (2009), con cui ha ricevuto il Premio Nazionale Alghero Donna di Letteratura e Giornalismo. Nel 2014, a Lerici, le è stato conferito il Premio Internazionale LericiPea per l’opera poetica, condiviso con Agi Mishol e Amel Moussa: tre donne, tre culture unite dal filo invisibile della parola poetica.

Le sue poesie, tradotte in molte lingue, hanno attraversato i confini del Mediterraneo e oltre, portando con sé una voce capace di coniugare profondità e chiarezza. Nella sue liriche, la memoria diventa uno spazio abitabile: un luogo dove il passato non è mai solo nostalgia, ma presenza viva. Elsa Morante, tra le prime a riconoscerne il talento, colse nella sua voce una verità profonda, insieme femminile e universale.

Un esempio di questa arte è La capanna, poesia che proponiamo questa domenica nella nostra rubrica. In questi, infatti, versi il ricordo si fa sostanza viva; si trasforma in un viaggio interiore, grazie a immagini delicate e incisive. Attraverso i dettagli, Gabriella Sica intreccia il vissuto personale con una riflessione universale sul tempo, la perdita e la bellezza fragile dell’esistenza. Nella sua poesia, ogni immagine custodisce un mondo, ogni parola si fa casa.

Per La poesia nel dì di domenica, Serena Betti, oggi legge per noi La capanna di Gabriella Sica. Buon ascolto.

 Debora Menichetti
Foto in alto: Gabriella Sica (foto fonte web)
© RIPRODUZIONE RISERVATA

La capanna

Sorridi ora e mi guardi da una foto
con gli occhi nuovi d’un mattino antico,
in un giorno africano del trentacinque,
mi parli camminando altero e bello.

Splendi in un’abbagliante luce
tra dolci donne arabe e bei cavalli,
c’è una povera capanna in paglia
e intorno vesti bianche come vele.

Venticinque anni avevi quel giorno,
se per caso incontrato ti avessi,
avrei potuto anche innamorarmi

e poi abbracciarti, esserti devota
come la bambina che sono stata.
Così non ci sarebbe più lontananza.

da Poesie familiari (2001)

Se questo articolo ti è piaciuto condividilo

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *