“Un libro e …” – La ferrovia sotterranea, sesto romanzo di Colson Whitehead

la ferrovia sotterranea
Un libro e serie tv che raccontano con intensità la brutalità della schiavitù attraverso un viaggio carico di realismo magico e speranza.

La mia proposta per questo venerdì è La ferrovia sotterranea, sesta opera dell’autore statunitense Colson Whitehead. In Italia è pubblicato da Sur con la traduzione di Martina Testa. Un romanzo che ha avuto un grande successo di pubblico, ma anche di critica. Ha vinto, infatti, il Premio Pulitzer per la narrativa e il National Book Award sempre per la narrativa, oltre alla candidatura al Booker Prize del 2017.

Il romanzo si apre nella Georgia dell’800, dove Cora, una giovane schiava nera nata e cresciuta in una piantagione di cotone, conduce un’esistenza segnata dalla violenza e dalla privazione. Abbandonata dalla madre in tenera età, della quale non ha mai più avuto notizie, Cora sopravvive in un contesto oppressivo e disumano. Quando Caesar, un altro schiavo, le propone la fuga, i due decidono di tentare il viaggio lungo la leggendaria “ferrovia sotterranea”.

Nel mondo creato da Whitehead, la ferrovia sotterranea non è solo una rete clandestina di persone e rifugi, come storicamente avvenuto, ma una vera ferrovia fisica, con binari, stazioni e treni che corrono sottoterra. Questo elemento “fantastico” viene usato per esplorare in modo allegorico le condizioni della schiavitù, il razzismo sistemico, la fuga e l’identità. Ogni stazione in cui Cora si ferma rappresenta una diversa “versione d’America”, riflettendo politiche, ideologie o distorsioni storiche legate alla questione razziale.

Durante il suo viaggio, Cora riflette spesso sul significato della libertà, che appare sfuggente e mutevole: «La libertà era qualcosa che cambiava forma mentre la si guardava, così come un bosco è fitto di alberi visto da vicino ma dall’esterno, da un campo aperto, se ne vedono i veri limiti. Essere liberi non aveva nulla a che fare con le catene o con la quantità di spazio a disposizione.»

È una narrazione coinvolgente, capace di trasportarci in un’altra epoca storica pur parlando con forza e urgenza dei problemi del nostro presente. Al tempo stesso, il romanzo si configura come un’appassionante avventura, al centro della quale la protagonista è una donna oltre il consueto, complessa e determinata. Da questo punto di vista è quindi anche un romanzo di formazione: seguiamo infatti il percorso di Cora, che lungo il suo viaggio perde ogni residuo di innocenza e arriva, tappa dopo tappa, a una profonda e dolorosa consapevolezza di se stessa e del mondo.

Alcune pagine risulteranno sicuramente brutali, altre saranno in grado di indignarvi ma anche di commuovervi. Sarete trascinati in un mondo feroce, dove la violenza è parte integrante della quotidianità e dove la speranza diviene un lusso. L’autore non edulcora nulla, descrive punizioni e umiliazioni con crudezza e precisione.

Whitehead adotta una scrittura visiva e ritmata, alternando momenti di tensione a riflessioni profonde. Lo stile è sobrio, a tratti distaccato, ma sempre efficace. La narrazione è al presente, questo aiuta a creare una tensione costante che ti tiene ancorata alla storia. La struttura si sviluppa in forma episodica, come in una narrazione autonoma, ciascun capitolo (o stazione) è caratterizzato da un’atmosfera e tono peculiari. La componente fantastica della ferrovia sotterranea è intrecciata al racconto in modo da amplificarne l’impatto emotivo, evocando, a tratti, il realismo magico.

La scelta della terza persona consente di ampliare lo sguardo narrativo, includendo anche la prospettiva di personaggi secondari, come il cacciatore di schiavi, e di cogliere più a fondo la complessità di Cora. Lontana dall’essere una protagonista “piatta”, Cora emerge come vittima, sopravvissuta e combattente: simbolo vivente della lotta per la dignità.

In accoppiata con il romanzo di Colson Whitehead vi propongo l’omonima miniserie statunitense. Creata e diretta da Barry Jenkins (vincitore del Premio Oscar per Moonlight nel 2016), è composta da dieci episodi e distribuita da Amazon Prime Video. Ha ricevuto una buona accoglienza da parte della critica e, nel 2022, ha vinto il Golden Globe per “Miglior miniserie o film per la televisione”.

La lavorazione della serie ha rappresentato una sfida produttiva imponente, durata diversi anni. È stato necessario allestire scenari molto differenti tra loro, dalle piantagioni del Sud alle città e ai villaggi che Cora attraversa. Ogni ambientazione, curata nei minimi dettagli, possiede una forte coerenza interna e restituisce l’effetto di un’opera autonoma, in continuità con la struttura episodica del romanzo.

Uno degli elementi più riusciti è sicuramente la ricerca estetica, la fotografia è evocativa e la regia è raffinata, quasi pittorica. Le riprese indugiano su volti e paesaggi con una lentezza tale che lo spettatore è obbligato a confrontarsi con la violenza senza distogliere lo sguardo, ma senza sensazionalismi e senza mai cadere nello spettacolo della sofferenza.

Il centro della serie resta Cora, interpretata magistralmente da Thuso Mbedu. Una protagonista che sfugge a ogni stereotipo, definita dalla sua forza, dalle sue ferite e dalla sua incessante ricerca di libertà.

Vi sconsiglio il binge-watching, godetevi ogni singolo episodio con attenzione e lentezza. Buona visione e buon fine settimana!

Sara Simoni

Foto in alto: immagine della serie tv (da comingsoon.it)

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