“Il volo di Francesca”, un atto di amore e libertà negli anni di piombo

Il volo di Francesca
Una storia vera di amicizia, coraggio e rinascita nella Verona degli anni ’70, sullo sfondo di un’epoca di grandi cambiamenti sociali e politici.

Pubblicato da Feltrinelli nel marzo di quest’anno, Il volo di Francesca è una storia vera, la storia di una ragazza che grazie all’amicizia e all’amore ha ripreso in mano la sua vita. Dopo una crisi depressiva molto forte viene ricoverata nel reparto di psichiatria con una diagnosi che prevede un lungo periodo di permanenza. La legge Basaglia era entrata in vigore da poco ed è proprio grazie a questa legge che amiche e amici si organizzano per farla uscire dall’ospedale e fornirle assistenza a domicilio.

La vicenda è accaduta in un periodo di grande trasformazione culturale che ha segnato un’intera generazione. L’approvazione della legge sul divorzio e sull’aborto, le lotte politiche e femministe che hanno movimentato le piazze di tutta Italia e il terrorismo sono alcuni degli eventi che hanno caratterizzato gli anni ’70, ricordati ancora oggi come gli anni di piombo. È questo il clima che si respira nelle pagine del Volo di Francesca nel quale moltə potranno ritrovarsi. Quellə di Verona potranno riconoscere persone frequentate o anche solo incrociate perché il racconto ha come sfondo la città scaligera.

Il volo di Francesca è un libro di poche ma intensissime pagine scritte dai protagonisti principali della storia: Giorgia Marzano, Carlo Rovelli, Massimo Tirelli e Francesca Zanini. E no, non si tratta di un caso di omonimia, Rovelli è proprio il fisico quantistico e saggista autore di libri che hanno appassionato anche chi, come me, ha poca dimestichezza con questa materia.

È interessante la scelta di far raccontare a ognuno di loro il ricordo di quella che oggi possiamo tranquillamente definire un’incredibile e irripetibile avventura.

Conosco Giorgia Marzano, una deglə autorə, da molti, moltissimi anni. È sempre stata molto intraprendente, vivace, curiosa. Eravamo dalla stessa parte, politica intendo, e spesso ci si incontrava. Noi, più “grandi”, la guardavamo “dall’alto della nostra età” un po’ disdegnose, un atteggiamento che in realtà mascherava una grande invidia: Giorgia realizzava sogni che, per mancanza di coraggio, noi tenevamo chiusi nel cassetto.

La vita spesso allontana, ma il forte senso di appartenenza, che ha contrassegnato quegli anni e ci ha plasmate, ha fatto sì che quando capitava di incontrarci era sempre una grande gioia.

Un giorno su un social mi è apparsa la copertina del Volo di Francesca con il suo nome fra glə autorə. Mi è sembrata una bellissima occasione per ritrovarci e quando sono salita qualche giorno a Verona ci siamo date appuntamento in una pasticceria.

Avevo già divorato il libro e l’ho inondata di domande. Abbiamo ripercorso insieme quel periodo ricordando glə amicə comuni. Quellə che sono mortə. E chi si perse per colpa dell’eroina, una sostanza sconosciuta che arrivò in quegli anni a Verona e la rese la Bangkok d’Italia. Ma abbiamo anche rievocato inostri ideali fortissimi e il senso di appartenenza e fiducia che ci ha sempre unite.

E così le ho chiesto com’è nata l’idea di raccontare la storia di Francesca.

«L’idea è partita da Carlo. Quel fatto per lui è stato molto importante per la sua formazione. Io all’inizio ero perplessa: a chi poteva interessare la storia di un gruppo di amicə accaduta quasi cinquant’anni fa? Ma quando ci siamo incontrati per parlarne è stato molto convincente e abbiamo accettato.

Ognuno di noi ha scritto ciò che si ricordava di quell’episodio incredibile. Rileggendo insieme e confrontando i racconti la nostra memoria ricuciva dei pezzi e faceva affiorare nuovi ricordi.

La nostra esperienza è stata unica e oggi non sarebbe ripetibile: non c’erano i cellulari, non c’erano i social, ma eravamo un gruppo e sapevamo dove trovarci quando volevamo incontrarci. Eravamo studenti e non avevamo impegni di lavoro. In noi c’era sicuramente avventatezza, e paura, ma quello che stava vivendo Francesca era ingiusto e volevamo aiutarla.

Ci sono state anche delle condizioni favorevoli: i genitori di un amico ci hanno dato la possibilità di utilizzare la loro casa in Lessinia e uno psichiatra si è reso disponibile per consigli, cure e colloqui.

Abbiamo vissuto in quella casa due mesi. Sul frigo c’era un calendario con i compiti di ognuno. Io ero addetta all’accudimento: aiutavo Francesca a lavarsi, a fare il bagno, la asciugavo. Poi cercavo di farla mangiare, un compito molto complesso. Rifiutava il cibo, non si fidava. E così ho iniziato a fare come le protagoniste del nuovo film di Soldini Le assaggiatrici: prima assaggiavo io e poi con pazienza cercavo di convincerla. Non funzionava sempre, ma lentamente ha ricominciato.

Ricordo che, quando la accompagnavamo a Verona dal medico, Carlo guidava, io stavo davanti con lui e Francesca si sedeva dietro: era come fosse una figlia.

La casa era un po’ isolata. Facevamo i turni per fare la spesa e per andare a telefonare dalla cabina telefonica del paese. I giorni peggiori erano quelli in cui non stava bene e pioveva, erano lunghissimi, cupi, non passavano mai. Sentivamo la forte responsabilità, ma percepivamo anche la sua fiducia.

Il miglioramento è stato graduale, lento. A un certo punto ha smesso di cercare i microfoni di un’apparecchiatura radiofonica che aveva portato Carlo da Bologna e che erano diventati la sua ossessione, ha ricominciato a parlare, anche a mangiare, e ha accettato di uscire di casa.»

Quando lasciarono la Lessinia Giorgia portò Francesca con sé in Sardegna. Aveva dei concerti che l’avrebbero impegnata per più di un mese: un tempo perfetto per fare una convalescenza in un posto bello con persone che, non conoscendo nulla di lei, non avrebbero avuto pregiudizi.

La storia di Francesca ha avuto un lieto fine, come ci racconta Giorgia nel capitolo che ha scritto per il libro:

«E fu così che Francesca non morì. […]
Adesso, quando vedo Francesca, dopo quasi mezzo secolo, quando la guardo, dopo una vita in cui è stata felice, dopo che l’ho “sposata”, nel senso che ho officiato le sue nozze, penso che fummo fortunati tutti. E trovammo , o almeno, io trovo, che quell’”avventura”ci abbia dato un’occasione e ci abbia resi capaci di realizzare un’idea semplice: fare della propria vita una “vita utile” per offrire qualcosa a chi ci sta intorno. E sono grata a Francesca poiché, in quel frangente, ne ho davvero avuto modo.»

Il volo di Francesca è pieno di poesia, pieno di amore. Ed è anche testimonianza e memoria di una delle piccole grandi storie che hanno reso straordinario un periodo che si va perdendo con noi.

Serena Betti

In alto: la copertina del libro Il volo di francesca – Foto di Serena Betti

© RIPRODUZIONE RISERVATA

Se questo articolo ti è piaciuto condividilo

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Solve : *
7 × 6 =