Spunti di riflessione per conoscere e comprendere le realtà che ci circondano. Nasce prima la cultura della società? Oppure l’inverso?
La parola cultura e i suoi derivati possono assumere molti significati diversi, possono anche arrivare a connotazioni negative. Pensiamo all’immaginario che si presenta se ci invitano a partecipare a un evento culturale: per qualcuno può rappresentare qualcosa di noioso. Oggi si parla, purtroppo, di cultura dello stupro. Ma cos’è in realtà la cultura? Il termine deriva dal verbo latino colere, cioè riferito alla coltivazione della terra. Nel tempo sono state tante le diverse interpretazioni.
Sociologi come Émile Durkheim e Max Weber hanno sostenuto tesi opposte in merito a se sia la cultura a dipendere dalla società o se sia vero l’inverso. Un po’ come la questione dell’uovo e della gallina. Secondo la pedagogista Milena Santerini non ha senso «chiedersi se nasca prima la società o la cultura. Quest’ultima scaturisce dalle relazioni umane, e – allo stesso tempo – è la trasmissione culturale che permette ad una società di sopravvivere: senza di essa, è destinata a morire. Da un lato, le disposizioni delle persone, il modo di alimentarsi, lavorare, amare, credere portano a elaborare un particolare edificio sociale che determina le caratteristiche dei gruppi e delle classi al suo interno, il rapporto tra uomini e donne, il ruolo delle giovani generazioni, l’importanza data al lavoro e così via.»
La cultura è qualcosa di complesso che cambia nel tempo, che subisce influenze esterne ma al tempo stesso le determina. È il risultato delle continue interazioni fra le persone, qualcosa di dinamico che viene costantemente rielaborato e tramandato da una generazione all’altra pur subendo cambiamenti lenti che potrebbero sembrare impercettibili. Da sempre l’educazione insieme ad altre discipline si interroga sulla relazione fra natura e cultura. Le caratteristiche di una persona sono dovute solo alla genetica o dipendono anche dalle sue interazioni, dall’ambiente in cui vive e dalle esperienze? Le neuroscienze, grazie anche alle più recenti tecnologie e al progredire degli studi sulla plasticità cerebrale, hanno aperto nuovi orizzonti dimostrando come in realtà non sia possibile stabilire una separazione netta fra ciò che è innato e quello che è per così dire “appreso”.
Una rappresentazione emblematica al riguardo è quella presentata dallo psicologo americano Jerome Kagan, che ha dedicato i suoi studi ai rapporti tra le predisposizioni biologiche e le esperienze di vita. Secondo lo studioso, la personalità può essere rappresentata da un arazzo grigio, un intreccio sottilissimo di fili neri e bianchi. I primi rappresentano i temperamenti, gli altri le esperienze esistenziali. Ciò che appare alla nostra vista non sono i fili neri o quelli bianchi ma appunto l’arazzo grigio. Il rapporto tra ciò che ereditiamo e ciò che diventiamo non è una somma di caratteristiche ma una relazione dinamica di influenze reciproche.
Questo spiegherebbe come la cultura in cui viviamo influenza quello che siamo. Sarebbe meglio parlare di culture al plurale, più che connotarla al singolare, ma si tratta di un aspetto che approfondiremo in un’altra puntata di questo nostro percorso. Oggi abbiamo invece compreso, citando sempre Milena Santerini, che «non esiste l’educazione se non dentro una cultura, creata e prodotta dall’uomo all’interno di una società.»
Paola Giannò
Foto in alto: Educazione e società – Immagine realizzata con Imagine Creator
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